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IL GIORNO DELL’APOCALISSE è un giallo-horror ambientato a Roma, dove uno sceneggiatore cinematografico in crisi deve risolvere il conflitto in corso tra un assassino nazista e una setta di angeli custodi dell’Umanità.


UNA DONNA VESTITA DI BIANCO è un romanzo giallo-horror che narra le peripezie di un insegnante inglese che vive e lavora in Italia, in passato sospettato di aver ucciso la propria moglie, inglese anche lei, e che dopo essere uscito da un clinica per malattie mentali. pensa di rivederla in alcune fotografie a corredo di un reportage da Viterbo, dove un invasato cerca di riportare in auge il culto di Velthe.


I RACCONTI DELLA NUOVA LUNA sono racconti di vario genere che spiegano l’influsso che la luna ha sull’animo umano. La raccolta contiene un racconto della Saga della Notte Comune e un racconto ha per protagonista Mister Tau.


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GRATIS i primi capitoli del mio romanzo Una Donna vestita di Bianco

Come promesso, di seguito vi offro un’anteprima del mio romanzo

Una Donna vestita di Bianco

attualmente pubblicato da Lulu.com, come potete vedere nelle sezioni a sinistra.

Sono gradite le recensioni e citazioni di questo post. Grazie.

Una Donna vestita di Bianco

romanzo di Marco Caruso

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Volata sei, fuggita                                           come una colomba                                           e ti sei persa là, verso oriente.                                           Ma son rimasti i luoghi che ti videro                                           e l’ore dei nostri incontri.                                           Ore deserte,                                           luoghi per me divenuti un sepolcro                                           a cui faccio la guardia.

                                                                                                                                                                                                      V. Cardarelli

 

La presenza ossessiva del Tempo, come entità viva, quasi palpabile. Il suo cammino incessante verso l’eterno, indefinito orizzonte, al di là di ogni sguardo possibile. Quel suo modo di sorridermi, pacato, velatamente beffardo, insistente e continuo nel lento susseguirsi di avvenimenti inutili e noiosi nella mia vita…

Sensazioni che non sopporto più, che odio, che mi stanno annientando.

Ma l’errore è mio: la scelta e l’idea stessa della tortura: sono rimasto con il pensiero, con l’anima ed il sangue ad un giorno di cinque anni fa. Quel giorno, mia moglie Celia è scomparsa dalla mia vita.

Inizialmente, cercai un espediente per conservare, nonostante tutto, la lucidità necessaria per proseguire le ricerche, combattendo la disperazione e la paura che aggredivano il mio animo; circondai il mio cuore ed i miei sentimenti di alte mura, costruite, pietra dopo pietra, da un implacabile auto-controllo. Ma dopo il primo anno, mi resi conto che quel mio tenace sforzo di non cedere alla straziante rassegnazione che sembravano suggerirmi gli eventi, era diventato, in realtà, l’ultimo baluardo contro la follia che minacciava d’invadere la mia mente. E se anche ho constatato la fragilità del mio essere, non mi sono mai arreso completamente e perso così la speranza di rivedere mia moglie. Direi anzi che, in qualche modo, continuo a vivere di lei soltanto.

Vivere nel passato, vivere del ricordo di una donna che non c’è: la mia tortura e la mia ancora di salvezza. O forse, aveva ragione lui… forse questa è già la mia pazzia…

‘’Il suo studio era arredato completamente in bianco: candide anche le pareti. La sua voce era piatta, suadente, monotona, a tratti ossessiva. Lo temevo, ero nelle sue mani. Ed egli, schiavista moderno, infagottato in quel camice bianchissimo, dotato di un’apparenza e di una reputazione così pure, da santo salvatore  di menti in odore di follia… sorrideva. Feroce e determinato, parlava, ascoltava e sorrideva.

Sentivo nel suo cuore una determinazione inflessibile, mentre scavava nella mia psiche, analizzandone le strutture, la dinamica di ogni pensiero, la funzionalità d’ogni pulsione. Poi la violentava, giorno dopo giorno, dichiarando il tentativo di salvarla e redimerla. In realtà, ne stava forse annientando le ultime difese. Chissà se solo immaginava la mia sofferenza; se pure mi compativa, continuava a sorridere nel chiedermi, per l’ennesima volta:

– Dottor Charr, mi parli ancora di sua moglie.

Fissai i suoi occhi dietro gli occhiali tondi, e la barbetta grigia che contornava un ghigno indecifrabile.

– Lo sa, professor Nunzi: è una domanda che non mi piace. Nasconde una proposta che non voglio più sentire. Celia non è rinchiusa nella mia mente. Vive, libera, nel mio cuore. Ci lasci in pace, per favore.

Nunzi si alzò e da dietro la sua scrivania così ordinata, si avvicinò per chinarsi e parlarmi all’orecchio. Ma senza abbassare il volume della voce:

– Lo sa quanto me, dottor Charr, lei rischia di non uscire più da questo posto.

– Sono in prigione senza aver commesso alcun reato! Mi trattenete con un ricatto morale!

– Non proprio. Lei ha ridotto in fin di vita un uomo, sia pure, a quanto pare, per legittima difesa! E sa benissimo d’essere in forte difficoltà. Si lasci aiutare!

– Io dovrei essere fuori di qui, a cercare Celia! Il magistrato inquirente ha archiviato il caso. E’ scomparsa nel nulla ma non interessa più a nessuno. Devo trovarla da solo.

Nunzi tornò alla scrivania, ridendo sfacciatamente. Sapevo che stava semplicemente recitando la sua parte, nel seguire la strategia che aveva deciso per arrivare al centro della mia psiche. Dichiarava di volermi liberare dalle mie ossessioni! Era in combutta con l’uomo che mi aveva praticamente rinchiuso in quella clinica: il magistrato che indagava sulla scomparsa di mia moglie.

– Trovarla?! – riprese – Forse, sua moglie non ne ha alcun desiderio… Comunque, non è stata rapita: a questa conclusione è giunta l’inchiesta ufficiale, e non abbiamo motivi validi per dubitare dell’operato del magistrato inquirente, non crede?

– E’ questo, dunque, che volete da me? Devo dimenticare Celia? O magari, devo confessare un delitto che non ho commesso? E la giustizia avrà fatto il suo corso!…

– Qui nessuno parla di delitti, Charr. Ora, si calmi, e cerchi di parlare di sua moglie. Le farà bene.

Dovevo stare al suo gioco, ancora una volta, senza alternative valide.

 – Cosa vuole sapere?

– Come al solito, tutto. O meglio, tutto quel che le viene in mente. Tempo ne abbiamo, non crede?

Decisi di soffocare l’odio che provavo per il carnefice in camice bianco. Non avevo forza sufficiente per oppormi direttamente ai suoi scopi, ma potevo utilizzare la mia astuzia e recitare, a mia volta, una parte ben definita:

– Ho conosciuto Celia Hidebrook in Italia, a Roma. Inglese come me, ci presentarono durante un ricevimento presso la nostra ambasciata. Era appena arrivata dall’Inghilterra, voleva fare un po’ di turismo nel vostro Paese. Quella sera, mi disse che si sarebbe fermata a Roma solo una settimana; veniva da Ravenna, dove aveva visitato la tomba di Dante, ed aveva in programma un rapido giro nel sud Italia. Invece, non è più ripartita. Accettò subito la mia corte, il mio amore, che ricambiò con slancio sincero, con tenera, fervida, passione. Era poco più che maggiorenne, ed io avevo otto anni più di lei. Ma il nostro comportamento fu quello di due ragazzi alla prima esperienza vera, quella che ti segna per tutta la vita… Due mesi dopo, il matrimonio, celebrato nella chiesa di Santa Sabina. Celia odiava l’Inghilterra e l’ambiente che aveva lasciato. Parlava spesso del padre, con risentimento. Certo, tra loro non correva buon sangue, per quali motivi, non so. Non volle invitarlo alla cerimonia e non rispose neanche ad alcune sue lettere, recapitate presso l’ambasciata.

– Una figlia ribelle? Una ragazza di buona, ottima famiglia che fuggiva da una vita agiata?

– Well, la ricchezza in cui era vissuta non aveva compensato in alcun modo la perenne carenza d’affetto che aveva caratterizzato la vita di Celia prima del nostro incontro. Aveva un bisogno quasi morboso d’amore. Ed era una creatura unica, dolce, bellissima…

– Perché ha detto era?

Lo fissai, perplesso.

– … Non è più bella? O non è più su questa terra?

Mi alzai, furioso, stringendo i pugni per contenere, in qualche modo, la voglia di colpire quel viso ghignante. – Non cerchi di provocarmi, canaglia! So bene cosa pensa, cosa cerca di farmi dire! Ma non riuscirà né a farmi impazzire, né a costringermi a confessare un uxoricidio! – urlai.

Nunzi era diabolico: manovrava le mie reazioni emotive come un burattinaio. Ed i miei sentimenti, burattini votati al sacrificio finale, non avevano difese né dignità sufficiente per essere risparmiati.

– E’ stato felice, con lei? – chiese poi, con inaspettata dolcezza.

– Sì, indubbiamente! – sbuffai, nel rimettermi seduto. Ero caduto nel solito gioco: provocava la mia indignazione per costringermi a reazioni inusitate, oltre la barriera dei freni inibitori che, nel suo assurdo teorema, potevano coprire una confessione…

– Per quanto tempo?

– Finché non è sparita, ovviamente!

– Non è poi così ovvio, dottor Charr. Io so che il vostro matrimonio andò avanti benissimo per oltre un anno; poi, tra voi si verificarono forti dissapori, e liti sempre più frequenti…

Con la pazienza di quei bambini che ripetono i loro giochi come un rito collettivo e non più per divertimento, mi accinsi a rievocare, per l’ennesima volta, quei ricordi:

– Tutto cominciò quando le crisi di Celia riapparvero improvvisamente, dopo anni di stasi. Ma quante volte ne abbiamo già parlato?

– Queste crisi… non potrebbero essere frutto della sua fantasia? Una scusa, una versione ufficiale degli eventi che il suo ego ferito, caro dottor Charr, ha architettato per non ammettere una bruciante sconfitta sentimentale!

– No! Celia era una medium naturale dotatissima. Me ne resi conto per caso, durante una seduta a casa di una mia amica, fatta quasi per scherzo. Per quanto mi riguarda, poi, ho sempre frequentato l’ambiente dei medium per motivi di studio e di lavoro.

– Sono al corrente dei suoi metodi di ricerca piuttosto inusuali, che sposano la parapsicologia all’archeologia, con risultati sorprendenti.

– Sto solo proseguendo il lavoro di un suo connazionale…

– E comunque, lei resta un etruscologo di fama internazionale, anche se molto criticato dai suoi colleghi, seguaci e fautori di una disciplina più cattedratica. Anche a me interessano i fenomeni extra-sensoriali, e mi chiedo: è mai possibile che sua moglie sia ancora in uno stato di trance che dura da cinque anni?

– Non credo, e non ho mai detto questo. Piuttosto, a causa d’un forte shock medianico può aver perso la memoria. Le crisi di Celia erano di breve durata, ma violentissime, e potevano insorgere nel raggio di qualche chilometro dal luogo in cui si teneva una seduta spiritica. Purtroppo, oggi lo spiritismo è diffuso almeno quanto la psicanalisi.

– Poveretta!, una crisi continua…

– Il suo sarcasmo è fuori luogo. Mia moglie soffriva molto. Aveva il temperamento tipico di certi sensitivi: instabile, umorale, alternava momenti di depressione ad esplosioni di una strana euforia.

– O forse, era semplicemente stanca del vostro rapporto. Mi parli del giorno in cui è scomparsa.

– E’ successo tutto molto in fretta. La sera del secondo anniversario delle nostre nozze, la sua Mini fu ritrovata parcheggiata sotto la nostra abitazione, ma di Celia,  nessuna traccia. Sparita, volatilizzata già da due giorni, senza un perché. E dopo il suo rapimento, la macchina fu riportata sotto casa da chissà dove. I poliziotti mi dissero che a Roma molta gente, ogni anno, scompare senza alcun motivo apparente, e non se ne sa più nulla. Minori, anziani, persone mentalmente instabili… E dopo i primi concitati momenti, tra lo sgomento e lo strazio dei familiari, questi tragici episodi finiscono nel dimenticatoio di una collettività che forse, al di là di ogni cosa, desidera soprattutto non sapere…

Nunzi giocherellava con una penna d’oro. Il suo luccichio sembrava affascinarlo.

– Continui, la prego.

– Non c’è molto da aggiungere. Il funzionario che si occupò delle prime indagini deve aver convinto il magistrato inquirente che nella sparizione di mia moglie non si potevano riscontrare elementi che  facessero pensare ad una fuga volontaria…

– So benissimo cosa pensa il giudice Sacco! – esclamò, secco, Nunzi – Siamo amici d’infanzia e spesso ho collaborato con lui. E’ per questo che lei si trova qui, invece che in galera o magari in manicomio criminale. Comunque, Sacco da lei voleva, essenzialmente, spiegazioni, senza ottenerne abbastanza. Spera tuttora nel mio aiuto. E’ infatti convinto ancor oggi che la chiave del mistero sia lei, dottor Charr, e non sua moglie!

– Ma non può accusarmi direttamente di alcunché. Ed allora, vorrebbe una mia confessione. E lei, esimio professore, con tutta la sua scienza non riesce a capire che non ho ucciso Celia. Non sono capace neanche di ucciderla dentro me stesso…

Nunzi sorrise stranamente, ma continuò ad infierire, imperterrito, crudele come il mal di testa che mi perseguitava da mesi:

– Il vostro matrimonio, probabilmente, era finito già prima che sua moglie sparisse. I vicini di casa vi sentivano litigare furiosamente. I vostri amici erano convinti della crisi irreversibile del vostro rapporto. Risulta chiaramente dalle loro deposizioni agli investigatori: vi amavate, ma non sapevate stare insieme. Caratteri troppo diversi, abitudini radicalmente contrastanti. I colpi di fulmine, gli amori improvvisi, spesso sono traditori: celano difetti, differenze comportamentali che verranno spietatamente evidenziate dalla vita in comune. Celia è fuggita? E’ stata rapita? E’, forse, stata assassinata? Qual è la verità, Charr? Una verità che lei può ignorare, certo, o che, più probabilmente, ha deciso di  seppellire in un angolo oscuro della sua mente, inaccessibile alla memoria.

– Sacco sospetta di me perché Celia era ricca. Scommetto che ne avete parlato. Ma i suoi soldi sono rimasti in Inghilterra: li amministrerà il padre fino alla sentenza di morte presunta. E quei soldi non m’interessano. Sono tornato in Patria, prima di finire qui dentro, solo per cercare, nel passato di Celia, una possibile spiegazione di quanto è avvenuto… Ho parlato con quel terribile vecchio che è Charles Hidebrook, inutilmente. Un viaggio del tutto infruttuoso. Mia moglie è veramente sparita nel nulla: ovunque sia ora, appartenente o meno al regno dei vivi, non ha lasciato una sola traccia utile a scovarla. Questa è la sola verità che posso considerare, purtroppo!

– In fede, non so cosa sia meglio augurarle. Devo occuparmi della sua salute mentale. E posso darle una notizia che, indubbiamente, le farà piacere. Ormai sono giunto alla conclusione che il mio compito, in un certo senso, finisce qui. Convincerò Sacco che è più utile vederci di tanto in tanto per una breve seduta d’analisi, e lei potrà, se lo ritiene utile, continuare a cercare sua moglie… Del resto, ognuno è padrone d’inseguire le chimere che vuole! Ma spero sinceramente, dottor Charr, che lei voglia tornare alla sua attività accademica. Recentemente ho letto qualche sua opera, che ho trovato estremamente interessante. Torni al suo lavoro, torni alla gente. E si rifaccia una vita, per quanto possibile. ’’

  Ho ripreso così la mia vita di uomo solo e tranquillo.

Sto aspettando. Che altro potrei fare? Oggi sono cinque anni esatti che non vedo Celia. Un anniversario doloroso.

       Mi guardo allo specchio. Non sono cambiato poi molto, dal mio ingresso a Villa Speranza. La barba ed i capelli lunghi, più che un segno del tempo, indicano la mia trascuratezza.

Ho lasciato l’università. Vivo dei proventi dei miei libri e di qualche, occasionale, articolo. Sono ancora famoso al pubblico degli appassionati, odiato dai colleghi, ed avversato dagli storici. Mi accusano di voler cambiare l’Epopea Etrusca, come fosse affare loro… Mi trattano da cialtrone, da sognatore imbecille che confonde il paranormale con l’archeologia solo per trarne vantaggi personali. Ed essere uno straniero, non m’aiuta affatto.

C’è chi, con ironia, utilizza le mie vicende personali per screditarmi ulteriormente. Gli sguardi di compatimento degli studenti del mio ultimo corso, erano insopportabili.

Esco. Le strade intorno San Pietro sono gelide come il colore dei marmi. Tira un vento penetrante che mi costringe a rialzare il bavero del mio giubbotto. Un tempo, questi pavimenti erano inondati dal sole, e delle immagini luminose della Città Eterna si beavano gli occhi di Celia. Qualcuno mi saluta ancora. Gli sguardi della figlia della vicina sono ancora pieni d’interesse. Anche Celia aveva simpatia per lei e le sue lentiggini sul musetto dispettoso. La invitava spesso per il tè. E nei giorni successivi la sua scomparsa, la ragazza, appena maggiorenne, prese l’abitudine di venirmi a trovare, sempre più spesso ed ogni volta con una gonna più corta. Amavo ancora troppo mia moglie, e decisi di troncare quella relazione sul nascere.

Fu poi la volta di una studentessa del mio corso, romantica come sanno essere solo certe ragazze italiane. Con lei mi trovai bene, ma il fantasma di Celia e la mia conseguente irrequietezza la stancarono presto. Siamo, comunque, rimasti buoni amici.

Ora, la solitudine. Una domenica come le altre. Settembre, il mio anniversario così tragico da considerare, tra i turisti di fine stagione che cercano di succhiare ancora un po’ di Roma e gelati quasi sempre scadenti, sopportando meglio dei Romani lo smog ed il traffico.

Molti Inglesi, quest’anno. I miei compatrioti sono meno disordinati degli Yankee e meno curiosi dei Giapponesi. Ma resisteranno meno degli altri. Sentiranno ben presto nostalgia d’un pub affollato e tranquillo, o si sorprenderanno a rimpiangere la foschia inquieta di una qualsiasi brughiera. Partiranno prima di finire i loro risparmi. Questo penso, mentre faccio il giro di piazza Risorgimento, dove acquisto un quotidiano italiano ed uno in lingua inglese, oltre ad un paio di riviste d’archeologia. Continuo a camminare in via Cola di Rienzo, interminabile e piena d’ottimi negozi, fino ad una traversa che mi porta a piazza Cavour: meno traffico e più verde. Voglio mangiare del pesce, in un certo ristorante di mia conoscenza. Prenderò poi la metro per piazza di Spagna, dove sorbirò il tè delle cinque in uno dei pochissimi locali in stile inglese della Capitale.

Rientro nel mio appartamento, vicino le Mura Vaticane, alle venti. L’importante è che un’altra, inutile giornata, sia trascorsa senza danno. Del resto, il dolore nella mia anima sta, negli anni, lentamente sfumando in un orribile, ma anestetizzante, miscuglio di noia, apatia, trascuratezza, rassegnazione…

Sento squillare il telefono. E’ Marta, una mia vecchia amica.

– Salve, vagabondo!  – urlacchia, cercando di scimmiottare il mio accento anglosassone – T’ho cercato tutto il giorno. Dove t’eri cacciato? Ohè!, buoni, di là…!

Sento un gran fracasso. La sua voce è appena distinguibile.

– Sono stato un po’ in giro.

– Lo dici con un tono… Sei del solito umore, vero? Beh, vieni da me! Siamo in parecchi e ci divertiamo un mondo!

– Vi rovinerei la serata.

Ride, gioviale come sempre – Siamo già tutti brilli, e dopo un bicchiere di quello buono ti sentirai meglio anche tu. Allora, vieni?! –

– Marta, non è il caso…

– Cos’hai detto?… Qui c’è un casino… Non farti pregare troppo! Indovina chi c’è, stasera?

– I soliti matti, naturalmente.

– Non solo. C’è anche Enrica. La tua studentessa preferita, se non ricordo male! – e giù un’altra  risata.

– Sarà deliziosa come sempre, ma proprio non me la sento. Voglio stare per conto mio. E’ il quinto anniversario della scomparsa di Celia.

– Celia, Celia, bella Celia… – canticchia – Forse, stai esagerando, Mark. Enrica!, vieni al telefono.

– Ti saluto, Marta. – e riattacco.

Ho la gola secca. Mi preparo un Martini. Enrica! Mi ha scritto, quando ha saputo del mio forzato esilio in clinica, ma non le ho risposto. Odio la compassione altrui. Mi basta quella che provo per me stesso. E che farà, stasera, in mezzo a quei matti che Marta si porta a casa?

Lascio il Martini ad attendere il mio ritorno.

Marta è stata la prima persona, qui in Italia, a trattarmi gentilmente. Ero solo uno studente, allora, e lei già si interessava alle mie idee, ai miei lavori. Comunque, mi fece ben presto capire che era affascinata più dal mio corpo che dagli Etruschi; nel frattempo, mi aiutò ad imparare la lingua, a conoscere molta gente e, in definitiva, ad entrare negli ambienti che m’interessavano. All’epoca, era ancora una bella donna, ricca, e poteva vantare conoscenze d’un certo rango e frequentare tutti i salotti che contano a Roma.

Quando incontrai Celia, Marta capì tutto e si fece da parte. Ora cerca di contagiarmi con la sua sfrenata voglia di vivere, la sua allegria, forse più ostentata che reale. So che teme la vecchiaia oltre ogni cosa, e, superati i cinquant’anni, combatte indomita la sua battaglia contro le rughe, pur sapendo che non vincerà mai.

Lascio la vecchia Taunus vicino il Centro Storico. Il portone che cerco è in una traversa di via del Corso. La scala, più volte restaurata, conduce all’enorme appartamento della mia amica: occupa interamente l’ultimo piano.

Quando suono il campanello, non apre la porta una delle due cameriere filippine, ma proprio Enrica…

– Salve. Ti trovo bene. – riesco a dire, mentre guardo il lungo vestito di seta nera fino allo spacco all’altezza dell’inguine. I lunghi capelli biondi sono legati sulla nuca da un semplice nastrino argentato. Completa il ritratto di donna romana una notevole abbronzatura, probabilmente naturale solo in parte.

Emana sensualità come prima, come la ricordavo.

-Anch’io ti trovo bene. – mi bacia sulla guancia – Pensa che, fino ad un attimo fa, ti odiavo.

– Per così poco… Marta?… Chi c’è, stasera?

– Tutti! A cominciare da Rebrilli, il sottosegretario del nuovo governo, e Festa, il presentatore televisivo, con il solito seguito di attricette. Poi, qualche commerciante facoltoso in cerca di emozioni forti e relative mantenute… Le prime proposte di orge sono state respinte dalla maggioranza delle signore, ancora abbastanza lucide.

– Ho capito: Marta ha aperto la sala rossa, stasera.

– E sta continuando a servire fiumi di vodka e rum. Tra poco, comincerà il rito.

– Ancora con quelle fissazioni sulla magia nera! E’ sempre infatuata di quell’idolo pre-cristiano?

– Sì: è ancora al suo posto, al centro della sala rossa. La raffigurazione d’un demone, vero?

– Probabilmente, la testa in pietra d’un antico demone dei boschi. Ma non disprezzarlo: è un pezzo da museo, per quanto rozzo nella fattura. Ma non vedo servitù.

– Te l’ho detto – sorride Enrica mentre procediamo lungo l’interminabile corridoio principale, verso la sala oggetto dei nostri discorsi – Stasera ha voglia di giocare.

– Per lei non è un gioco. Marta è una satanista in piena regola. Innocua ma determinata.

Ed infatti, la troviamo stesa sul divano nero, circondata dai suoi adepti-ospiti, seduti su alti tappeti di pelliccia. Il salone è illuminato da alcuni faretti nascosti dai tendaggi rossi, mentre presso un piccolo altare davanti la testa del demone, posta al centro di una colonna di marmo nero, in un braciere d’ottone bruciano rami di timo e d’alloro. L’impianto di condizionamento dell’aria convoglia il fumo all’esterno del finestrone centrale, ma l’aroma è comunque fortissimo.

Non ci sono altri mobili. Solo pellicce e cuscini di seta naturale rossa sul marmo antico del pavimento. Ora, se non ricordo male il rito, la padrona di casa, nella sua funzione di sacerdotessa, predicherà la magnificenza del suo dio; poi, i ‘festeggiamenti’.

– Ah!, sei qui, finalmente… – mi apostrofa Marta, alzandosi nella lunga tunica rossa. Barcollando, viene ad abbracciarmi. Puzza di quel terribile miscuglio di sua invenzione: un alcolato a base di erbe e bacche non meglio identificate. Gli sguardi appannati degli altri commensali seguono il suo passo incerto. Decine di coppe e boccali d’argento, posati alla rinfusa sul pavimento, testimoniano l’importanza della riunione.

– Saluta Baal, amico mio! – mi esorta, speranzosa. Segno che è proprio brilla, ormai.

Non posso fare a meno di sorridere. Il noto presentatore televisivo fissa il soffitto come fosse lo schermo per la proiezione dell’ultimo successo della stagione cinematografica. Un assessore comunale russa, paonazzo in viso.

– Di’ la verità, Marta. In quel tuo miscuglio, un po’ d’oppio lo metti!

– E’ sempre affascinante il tuo italiano; come sei sempre ‘bbono, Mark! Se non ci fosse Enrica!… Scommetto che è ancora gelosa di te, pazzerellone mio! Uhm… Un pizzico d’oppio aiuta la concentrazione. Stiamo adorando Baal!         

E ride istericamente. Pare conciata maluccio.

– Ma quello non è Baal – commento, mentre smette di sghignazzare – Te lo ripeto, per l’ennesima volta: la locazione del ritrovamento, la fattura e le analisi eseguite dimostrano che la testa di demone è stata scolpita da un artigiano dell’alto Lazio, più o meno tremila anni fa.

– Per me è Baal! – ribatte Marta, irritata. Non sorride più – T’ho invitato perché il rito di questa sera è dedicato a chi non è più tra noi. Per esempio, a mio figlio, che Baal chiamò nel suo reame di luce tanti anni fa; al nobile e valoroso conte Sammartini, morto la settimana scorsa… e a tutti i fratelli che hanno adorato il dio in questa sala ed ora… non possono dividere, per qualunque motivo, questo nostro sacrificio. Parlo anche della tua Celia.

Queste fissazioni, penso, alla lunga stancano. Ma la bontà del personaggio, aiuta a provare la compassione dovuta. Marta, che sa benissimo la mia opinione in merito, testarda, ribadisce:

– Proprio così! Stasera, il dio parlerà ancora! Potrai sentire con le tue orecchie.

Quel che sento è, invece, un forte odore d’oppio bruciato. Viene dal braciere o dalla sigaretta di qualcuno. – Peccato che io non possa attendere. E credo che anche Enrica abbia bisogno di una boccata d’aria fresca.

Marta s’aggrappa al mio braccio, mi trattiene – Non vuoi sapere qualcosa di Celia? – sorride stranamente, stralunata.

– Mi occupo, talvolta, di parapsicologia, ma questo genere di magia evocativa non m’interessa!

– Baal parla per mezzo della mia bocca, proprio come lo spirito di quel sacerdote etrusco che tanto hai utilizzato per le tue opere! E proprio come i tuoi medium, io non sono cosciente. Egli sovrasta la mia volontà, annulla la mia consapevolezza, per innalzarsi, trionfante, sulle nostre miserie, i nostri peccati, illuminando le nostre miserabili vite… E’ un dio tremendo ma pietoso. Sa curare le ferite di chi lo ama. Io sento che stasera parlerà di Celia! Contro la mia volontà, semmai, di riaprire questa vecchia ferita, credimi… Non sai quanto darei per farti dimenticare, per non vederti più soffrire… Non puoi capire, così come non capirai mai quanto t’ho amato… Ma basta! E’ tempo di sentire Baal!

Enrica mi fa un cenno: vuole andarsene. Mentre va a prendere la sua pelliccia nel guardaroba, do un bacio sulla guancia infiammata di Marta. Sto provando da un po’ il senso di inebriato stordimento tipico dei fumi d’oppio.

– Mark, resta! – implora Marta, istericamente – Io ho tanto amato… ho tanto odiato… come te, come tutti! Ma c’è un punto, nella vita d’ogni essere umano, in cui si prova il bisogno di volgere lo sguardo dentro sé stessi! Per molti, questo è l’atto finale… E tu, proprio tu, non vuoi restarmi accanto, stanotte?

La sua voce stridula m’insegue lungo il corridoio illuminato dalle vampate del braciere.

Appena in strada, anche l’aria inquinata del Centro mi riesce gradita. Guardo Enrica: non sembra stordita…

– Da quanto fumi oppio?

Non sembra imbarazzata – Da un anno. Marta è molto generosa. Matta ma simpatica.

– Ti avrà consacrato Vergine di Baal, immagino. Scommetto che balli nuda, durante le cerimonie orgiastiche del plenilunio!

Ci infiliamo nella mia macchina.

la storia continua con la ricerca affannosa che il professor Charr intraprenderà una volta appreso che la moglie è forse tornata anche se in circostanze misteriose. Tra indagini serrate, morti sospette e il rinascere dell’antico culto etrusco in un crescendo di emozioni e colpi di scena, Charr inseguirà la Donna Bianca tra Roma e Viterbo, lottando contro nemici mortali ma anche dubitando continuamente della propria stabilità mentale…

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