Archivio mensile:gennaio 2008

Giallo a puntate da febbraio

Cari amici, da febbraio potrete leggere, solo su questo blog, un giallo di mia creazione, basato sulle vere avventure (talvolta disavventure) del veggente che si fa chiamare MISTER TAU

Il giallo sarà pubblicato a puntate, senza alcuna regolarità, solo su questo blog, nella categoria del romanzo a puntate. Quindi, l’unica certezza di poter seguire la trama è collegarsi ogni giorno e vedere se l’aggiornamento che aspettate è stato postato. Buona lettura!

CYBKILLER

Di seguito il racconto di fantascienza CYBKILLER

GRATIS da leggere per voi. Gradite le recensioni citando questo blog e l’autore

Una base lunare invasa da cyborg letali sullo sfondo di un conflitto che investe tutto il sistema solare.

CYBKILLER

Devo fare presto rincorrendolo lungo questi interminabili, spettrali corridoi che odorano di morte. Correrà a nascondersi, a preparare nuovi piani per assassinarci tutti. Le porte automatiche dei nodi di comunicazione tra i vari anelli di Luna 3 ora si aprono solo al mio passaggio, richiudendosi alle mie spalle; nessuno può seguirmi o precedermi perché il computer centrale della nostra base dirige, ora, i meccanismi di controllo delle porte d’ogni settore secondo le mie ultime istruzioni. Le serrature magnetiche si sbloccheranno solo se il sistema riconoscerà il segnale d’identificazione del mio chip cerebrale. E quindi, sotto le luci ridotte al minimo a causa dei danni sofferti dal generatore principale, gli unici passi affrettati sul pavimento sintetico sporco di sangue, sono i miei. Eppure, lui è vicino: lo sento.

Corro, stringendo il mitra laser tra le mani sudate: pur leggerissimo, può sparare fino a trecento scariche in 2,5 secondi… Peccato che il mio avversario sintetico possa muoversi altrettanto velocemente.

Quando accettai il comando su Luna 3, la guerra tra la Federazione Terrestre e la colonia ribelle di Titano era già scoppiata: in ballo la posta più ambita del ventitreesimo secolo, il controllo delle distribuzione dei cristalli d’uranio in tutto il Sistema Solare. Il conflitto fu subito cruento, devastante soprattutto per Titano, assediata e bombardata dalla flotta confederale. Da ieri sono otto mesi. A poco sono serviti i rinforzi arrivati da Marte, dichiaratosi subito neutrale e che, naturalmente, ha tutto l’interesse che la disputa non si concluda con una completa disfatta dei Titaniani. La colonia ribelle, tramite i propri rinomati centri di ricerca ha trovato solo il modo di contrattaccare con un’offensiva batteriologica arrivando a offendere persino la popolazione della lontanissima Terra. Inutile vendetta che non cambierà le sorti della guerra.

Il mio sensore da polso lancia il suo leggero richiamo: è Jura, il mio vice, che vuole parlarmi.

– Comandante Ryne?… rapporto dal centro comunicazioni.

Ho detto al tenente, un giapponese di fresca nomina come me, di chiamarmi ogni mezzora sul canale riservato.

– Rileva qualcosa dalla rete dei monitor?

– Solo la sua presenza, nel settore 3, corridoio numero 25.

– Sono a due passi dagli alloggi del personale. Eppure, sento il cyborg vicino…

– Impossibile: il computer centrale non rileva altre presenze. E come sappiamo, i cadaveri dei caduti sono ormai liquefatti.

– Controlli l’integrità dei programmi di scansione. Deve trovarsi qui! Ha ucciso Jones e Xavier e dato che le porte si aprono solo al mio passaggio, il cyborg non può che trovarsi oltre il settore degli alloggi!

– Comandante, stia in guardia! Farò l’analisi che ha suggerito. Rapporto alle tre.

La voce desolata del mio vice si spegne con il classico suono metallico. La frequenza è criptata ed almeno sull’integrità del settore delle comunicazioni possiamo ancora contare. Ma ora sto per confrontarmi con la tipica arma di ritorsione della morente colonia di Titano: cyborg sempre più sofisticati, del tutto somiglianti ad individui realmente esistenti, sequestrati e sostituiti dai loro doppi artificiali. Di solito, il sistema nervoso viene estirpato e trasferito nella macchina, dopo l’opportuno condizionamento. Il compito di quest’efficiente assassino consiste nello spargere la maggior quantità possibile del letale virus della peste marziana. E’ talmente simile agli esseri umani, totalmente bio-compatibile, che è tuttora possibile identificarlo solo mediante un particolare bio-controllore, l’unità installata su tutte le stazioni orbitanti e le dogane terrestri. Su questa base l’inizio del contagio, fulmineo quanto letale, risale ormai a due giorni or sono, quando su Luna 3 attraccò un mercantile diretto alla colonia su Venere. Scaricò qualche cassa di viveri e quattro passeggeri, tra i quali, mia moglie… Ricordo la felicità in quei suoi meravigliosi occhi verdi: rivederci dopo sei, lunghissimi mesi! Mi sorrideva, di là dalla parete di vetro che mi separava dal settore dei passeggeri in arrivo, mentre stringeva al petto Bingo, il gatto soriano che le aveva fatto compagnia durante la mia assenza. Accanto a lei, in attesa di sottoporsi all’esame dei bio-controllori, tre cadetti dell’Accademia di Guerra Spaziale di Parigi che avrebbero atteso la coincidenza per il Comando federale di Giove. Improvvisamente, mi separò dallo sguardo di mia moglie la voce di Jura dal sensore al polso:

– Comandante! Emergenza! I bio-controllori sono disattivati! Un guasto al momento inspiegabile… i tecnici sono già al lavoro. Cosa dobbiamo fare con i nuovi arrivi?

– Avete già controllato le generalità?

– Certo, sono le persone che aspettavamo, ma il regolamento parla chiaro… Mi spiace per sua moglie.

Non sapevo cosa fare – Quando deve ripartire il mercantile?

– Subito! Giù, agli hangar, stanno trattenendo a forza il comandante. Dice che sono affari nostri se i sistemi di controllo non funzionano; ha la sua tabella di marcia da rispettare e rischia di giocarsi il turno sulla rotta interplanetaria.

– Diavolo, lo capisco. Va bene, può partire, avvertendo dell’inconveniente il prossimo nodo d’attracco; e che gli ospiti vengano esaminati dallo staff medico! – tolsi la comunicazione, furioso per il contrattempo. Avrei potuto abbracciare Lucy solo dopo qualche ora: il primo momento felice dopo sei mesi d’inferno, trascorsi a ripristinare l’intero centro di comunicazione della base, e molte unità periferiche del computer centrale, oltre ad una stazione di rilevamento esterna. Tutto lavoro dovuto all’ultima impresa di un kamikaze dell’ormai estinta flotta di Titano, che, carico d’esplosivo, si era schiantato sul secondo settore di Luna 3. Dopo aver impartito, tramite il videofono, le necessarie istruzioni, abbandonai la sala di ricevimento dei passeggeri, diretto al centro medico; nelle previsioni, le prossime quarantotto ore sarebbero state piuttosto tranquille: un cargo da filtrare sarebbe giunto dalle miniere di Saturno dopo quasi tre giorni. L’allarme scattò all’improvviso. Le sirene urlavano disperatamente mentre gli altoparlanti diramavano le istruzioni al personale che doveva ritenersi in stato d’assedio. Chiamai Jura con il sensore da polso.

– Il computer ha lanciato lo stadio d’assedio…- mi spiegò.

– Mi raggiunga in sala di comando!

Correndo tra il personale non militare che andava a rinchiudersi negli alloggi e la Vigilanza che si dirigeva alle postazioni assegnate alle singole pattuglie, arrivai in sala comando solo dopo qualche minuto trovando Jura intento a ricevere un rapporto dal centro medico, terreo in volto; balbettando mi annunciò che in infermeria una delle unità automatiche per il rilevamento biologico aveva segnalato al computer centrale un’epidemia di peste marziana.

– Le porte del settore – continuò il mio vice – sono ora bloccate dal sistema di sicurezza. Ho già parlato con il dottor Schenkel: pare che, effettivamente, si tratti di peste marziana.

– Dannazione! Mia moglie è lì!

– Sì, e con lei, l’intero staff medico e i tre cadetti. Ci sono già due vittime… Rilevazioni?!

Il responsabile della sala di comando tolse per un attimo gli occhi dal monitor e si voltò verso di noi:

– Vanderburg e Volken. Erano della vigilanza; stavano scortando gli ospiti al centro medico. I loro sensori da polso non inviano segnale.

– Se è per questo – riprese Jura – Schenkel afferma che si sono liquefatti sotto i suoi occhi mentre le porte dell’infermeria si chiudevano automaticamente. Fortunatamente, sono rimasti fuori dai locali dove sono bloccati i sei membri dello staff e gli ospiti.

– Liquefatti… Allora non c’è dubbio. Che cosa elabora il computer centrale?

Un suono inconfondibile mi fece capire che la risposta dell’elaboratore era in arrivo. La solita voce elettronica femminile annunciò:

Luna 3 è in stato d’assedio. Tramite l’unità robotizzata HJ-325 ho rilevato la presenza del virus N-9200 UK chiamato anche peste marziana. L’allarme rosso è stato esteso a tutta la base e la nostra situazione è stata comunicata al Comando Federale di New York. Siamo in quarantena.”

– Perdio! – urlai – Computer, è il comandante che stabilisce quando ordinare la quarantena!

Queste istruzioni sono parte indelebile del codice di protezione. La quarantena è stata attivata automaticamente. Le ricordo, comandante Ryne, che lei conserva il comando delle forze armate presenti nella base, il coordinamento del personale civile, e la massima autorità sull’amministrazione degli affari correnti. Io attuerò le procedure previste dal codice di protezione, ed eventuali modifiche ed integrazioni inviate dal Comando Federale riguardo lo stato d’assedio e la quarantena cui siamo sottoposti finché il contagio non sarà debellato.”

– Jura, ha sentito? Siamo sotto l’autorità del computer…

– E del Comando Federale. Non esiteranno a sacrificarci se non neutralizzeremo quel maledetto cyborg!

– Cosa dicono dalla Terra? –

– Secondo il regolamento, in caso di quarantena le comunicazioni sono sospese, a parte brevi messaggi in codice ogni dodici ore. Saremo isolati dal resto dell’Universo, con il solo compito di annullare il flagello della peste marziana.

In quel momento, uno degli operatori ai monitor ci avvisò che era pronta la registrazione filmata degli eventi – La ripresa delle telecamere – spiegò il tecnico- inizia mentre si stanno aprendo le porte dell’ascensore…

Sullo schermo olografico apparvero le figure tridimensionali di Lucy, con il braccio il suo gatto soriano, i tre cadetti dell’Accademia, giovanissimi, e i due soldati della Vigilanza che, come prescrive il regolamento, tenevano il gruppo degli ospiti sotto il tiro dei phaser. Improvvisamente, mentre l’immagine di mia moglie varcava la soglia dell’infermeria, vidi i due soldati portarsi le mani al collo, e, nel medesimo istante, una nebbiolina verde diffondersi nell’aria. I due disgraziati crollarono in ginocchio, mentre la carne dei loro volti e delle mani si spaccava in centinaia di piccole fratture sprizzando sangue; le loro tute ben presto si gonfiarono come contenessero un liquido in ebollizione, ed in meno di dieci secondi i due corpi si sciolsero in una pozza di liquame rossastro schiumoso.

– Le porte dell’infermeria si sono chiuse in tempo- mormorò l’attonito Jura – Ma se il cyborg è lì con loro…Schenkel era sulla porta, ma non è riuscito a vedere chi ha spruzzato il micidiale virus!

– Perché i suoi uomini non indossavano caschi con respiratori? – chiesi a Van der Hoeken, l’anziano capo della Vigilanza, accorso in sala comando per assistere alla fine dei due malcapitati.

– Probabilmente perché sapevano che tute, caschi e respiratori non servono a un bel niente contro la peste marziana! I Titaniani la usano contro le nostre truppe d’assalto perché il virus riesce a disgregare anche l’acciaio temperato al Vibranium. Penetra e scioglie qualunque materiale e tessuto organico.

– E’ vero – confermò Vulzov, il capo-chimico – E’ questo il motivo per cui possiamo bombardare Titano dallo spazio, ma non ancora invaderla. Basta un milligrammo di liquido di coltura del virus per far sciogliere come neve al sole un blindato di prima classe.

– Possibile che proprio nulla resista almeno per qualche secondo alla sua azione?

– Solo alcune leghe attualmente prodotte, in quantità assai limitata, nelle fonderie di Venere pare che abbiano tali proprietà… – rispose, laconico, Vulzov.

– Comandante! – mi chiamò Jura – Vede come sta mangiando il pavimento del corridoio? – ed indicò con la mano l’ambiente olografico: dopo aver completamente mangiato i corpi dei due soldati, la sostanza verdastra stava corrodendo l’acciaio vetroso del pavimento, la lega più leggera e resistente dell’Universo!

– Niente paura – intervenne Vulzov – ha una capacità corrosiva limitata ai due-tre minuti. Non riuscirà ad arrivare al piano sottostante. Inoltre, un cyborg assassino, di solito, non ne contiene più di cinque milligrammi. Il problema è che il virus si riproduce solo a contatto con la materia organica; in pratica, si nutre di composti azotati. Per un’efficace azione distruttiva, dovrà uccidere ancora.

– Schenkel, dall’infermeria! – urlò un altro operatore.

– Comandante Ryne, mi ascolta? – La voce dell’ufficiale si diffuse dagli altoparlanti, ma il suo volto non apparve né sui monitor né tramite il riproduttore olografico

– Il computer non permette la trasmissione d’immagini dalla zona infetta – spiegò Jura – e loro non possono vedere noi. E’ l’unico modo per evitare che il cyborg possa avere informazioni utili sulla sala-comando.

– Schenkel, qual è la situazione?

– Ormai sapete che uno dei nuovi arrivi è un cyborg assassino ma non sono in grado di identificarlo. Sono qui con gli ospiti, ed il resto del personale medico è nell’altra stanza. La porta automatica ci divide. Tengo i nostri ospiti sotto la mira del mio phaser. Il computer blocca tutte le porte e, male che vada, moriremo solo noi… In ogni caso, sua moglie sta bene, e vuole parlarle…

– Martin, sono io… – sentita la voce di Lucy mormorare quelle parole incerte, me la immaginai pallida, tremante – E’ successo tutto in un attimo… E non sappiamo neanche chi è stato.

– Amore, sta calma. Non possiamo entrare perché il computer centrale ha preso il controllo delle operazioni in base al protocollo d’emergenza che non ammette deroghe. Non ti staccare da Schenkel.

Un cenno a Jura e lui tolse la comunicazione.

– Tutto il personale – disse poi – è chiuso negli alloggi e la Vigilanza sorveglia i gangli vitali della base. Il computer controlla e regolare il sistema di mantenimento e… – L’allarme suonò nuovamente, interrompendo il rapporto del Giapponese. I monitor furono sintonizzati immediatamente alle telecamere del corridoio d’accesso alla sala-ricevimento – I bio-controllori! – esclamò Jura – E la squadra numero due è ancora al lavoro! Del resto, sarebbero comunque bloccati lì.

Sullo schermo olografico apparvero i due operai che, bestemmiando, controllavano vani nel muro dai quali spuntavano cavi e schede biotroniche; Cuentas, l’esperto tecnico che li dirigeva, alzò lo sguardo verso le telecamere, poi avvicinò il sensore da polso alla bocca.

– Ah! finalmente ci ricevete! Siamo prigionieri del computer, vero? – chiese allegramente – Proprio come otto anni fa, quando mi trovavo sulla prima base orbitante di Plutone…

– Cuentas, sono il comandante. State attenti! Il computer segnala pericolo dalle vostre parti. Jura sta impartendo ordini alla Vigilanza del settore. Avete la peste marziana alle calcagna, probabilmente!

– Ma che diavolo dice?! Il cyborg non è bloccato in infermeria?

– Lo calmi – suggerì Van der Hoeken – Non devono interrompere i lavori. Potrebbe trattarsi d’un errore della centralina periferica di rilevamento.

– Cuentas, come vanno i lavori?

– Umpf! Secondo me, si tratta di sabotaggio! Apparentemente, c’è stato un sovraccarico nella piastra d’alimentazione e, se fosse solo questo, ci vorrebbero una quindicina d’ore di lavoro. In pratica, sono saltati gli schemi di difesa dalle intrusioni elettromagnetiche; invece che dati di ritorno, sono pervenuti all’elaboratore flussi d’energia elettrica. Inspiegabile!

– Jura, analisi del computer?

– Conferma l’allarme rosso. E il sabotaggio. Senta, a mio parere, quei tre sono in pericolo mortale! La Vigilanza è dietro la porta della sala, ma ovviamente non può entrare.

In quel momento, vidi una sottile nebbia verde invadere l’ampio locale dove operavano i tre uomini. Gli operai furono i primi a morire; Cuentas arretrò, urlando, fin sotto i bio-controllori, poi si portò le mani alla gola e crollò sul pavimento già bagnato dal sangue dei compagni. L’orrore gelò la sala-comando e solo dopo qualche minuto, Jura riuscì a dire:

– E’… è uscita dal condotto d’aerazione.

– Quindi il cyborg è lì dentro… – Vulzov era incredulo – Ma com’è possibile? E’ un condotto largo appena sedici centimetri… nessuno potrebbe infilarsi lì dentro!

– Nessuno con le dimensioni d’un essere umano… Il gatto di mia moglie! – urlai – Quel maledetto gatto!

Jura mi guardò, esterrefatto. Poi, fissò di nuovo la luce rossa della spia mentre suonava l’ennesimo allarme. – Si sta dirigendo qui! Se si muove attraverso i condotti d’aerazione, è sotto di noi, a meno di tre metri…

Ordinai di sgombrare la sala, dopo aver impartito i relativi ordini al computer centrale, essendo quel settore l’unico non sottoposto a vincoli particolari per esigenze operative; dettai i codici d’emergenza direttamente dal sensore da polso e subito si bloccarono le porte d’accesso. Per quel che poteva servire.

– Jura, andate tutti nella sala comunicazioni. Rapporto ogni mezzora attraverso le frequenze criptate dirette al mio sensore. Van der Hoeken, mi passi il suo mitragliatore e comandi ai suoi uomini di ritirarsi immediatamente in sala comunicazioni: l’unico punto di Luna 3 totalmente isolato e sigillato, dato che contiene la memoria del computer centrale e la sessione direttamente collegata alla Terra. Una volta chiusa la porta alle vostre spalle, avrete trentasei ore d’ossigeno e di provviste. In questo lasso di tempo, il cyborg non potrà assolutamente raggiungervi, a meno che non disponga di cariche plasmatiche ad alto potenziale per abbattere le porte di titanium. Intanto, io sarò il solo a potermi muovere per i corridoi della base e conto di attirare quel maledetto in un duello faccia a faccia.

– Spari da lontano, comandante – raccomandò Jura – perché se anche riuscisse ad abbattere il mostro, non sfuggirà al virus!

Da quel momento, sono trascorse trentadue ore. Jura non è riuscito a darmi notizie di mia moglie. Nel frattempo, il maledetto cyborg ha seminato morte per tutta la base, mentre le sirene accompagnavano la triste fine del settanta per cento del personale e della Vigilanza. Ho trovato, nel mio vagabondare, i resti liquefatti di molti dei miei uomini, mentre gridavo con tutto il fiato al mostro di raggiungermi; ma, ad ogni allarme, operai, tecnici, ausiliari ed agenti armati hanno violato la consegna e sono usciti dai loro alloggi: il terrore della peste marziana è stato più forte della razionalità. Mentre le porte che dividono i settori sono rimaste chiuse, il cyborg ha potuto attaccarli con facilità, ottimizzando la dispersione della sostanza virale; inoltre, il virus ha potuto nutrirsi di gruppi consistenti di corpi, riproducendosi abbondantemente. Ora, il 67% della base è invaso del contagio, almeno secondo le stime del computer centrale. Gli unici superstiti tra quanti la popolavano prima dell’attacco, sono riuniti in sala comunicazioni e, spero, in infermeria. Jones e Xavier, due agenti della Vigilanza barricati in sala mensa, a venti metri di corridoio da qui, stavano diventando tutt’uno con il pavimento mentre passavo da lì. E’ ora di chiamare Jura:

– Tenente, se il cyborg continua a muoversi utilizzando i condotti dell’aria, vuol dire che utilizza parte del virus per eliminare le chiusure ad ogni nodo di passaggio; il computer dovrebbe segnalare il danno e dare quindi una mappa dei suoi spostamenti!

– Provo ad interrogarlo… E’ vero, una debole traccia del malfunzionamento dei condotti resta nel database dei processori di ogni nodo! Ora sembra che stia tornando indietro, verso l’infermeria!

Torno sui miei passi, cercando di superare la sua notevole velocità. Suona, insistente ed inutile, la sirena mentre, correndo per i corridoi di Luna 3, cerco di non calpestare i poveri resti di quelli che erano i miei uomini. Non sento il classico odore della morte perché il virus si nutre anche di quello. I pavimenti risultano danneggiati in più punti e non è possibile utilizzare gli ascensori. Alcune zone sono rimaste al buio perché le unità periferiche del computer sono state in più punti disattivate dalla corrosione virale. Finalmente, arrivo in infermeria, dopo novi minuti di corsa affannosa. Come previsto, la porta si spalanca al mio ordine. A terra, solo un’oscena pozza ribollente di materia organica in decomposizione dove galleggiano i resti delle divise sintetiche federali.

– Martin, amore! – urla Lucy, sorridente, bellissima. Apre le braccia, correndo verso di me. Non mi aspettavo di trovarla ancora in vita e, mentre la commozione allenta i miei riflessi, lei mi abbraccia, mormorando:

– Il mio gatto… non potevo sapere…

Sento strani rumori metallici, alla mia destra. Mi stacco bruscamente da mia moglie, guardando la bocca d’aerazione. In una frazione di secondo, punto il mitragliatore e sparo ripetutamente contro una forma scura che, velocissima, piroetta in aria e cade sul pavimento mentre i miei colpi la inseguono. L’ultima scarica la sfiora appena… posso vedere finalmente il gatto, mezzo bruciacchiato, restare immobile a due metri da Lucy.

– Stava per aggredirti…

Ma lei sorride ancora – Ha seguitol’odore della sua preda per tutta la base, mentre decimava i tuoi uomini… – poi tace per spalancare la bocca… Vedo spuntare da quelle fauci un grosso topo che scende agilmente dal collo e balza sul pavimento.

Non posso reagire, paralizzato dalla sorpresa e dall’orrore. Il topo avanza lentamente, fissandomi con due occhi neri, lucenti, spaventosi, e Lucy, la sua oscena tana, ride sguaiatamente…Schenkel ed i tre cadetti non hanno avuto scampo, pensando che il cyborg fosse il gatto!

Guardo il caricatore del mitra: ho un solo colpo. Gli occhi metallici del mostro fissano il mio viso. Quella che prima del criminale trattamento dei Titaniani era mia moglie continua a ridere. L’ultima scarica del mio mitra fa volare lontano il sorriso che tanto ho amato. Mi preparo a morire ma, con la coda dell’occhio, vedo il corpo del gatto scosso da un violento sussulto. L’animale si alza sulle zampe, faticosamente: l’istinto e l’orgoglio sono più forti del dolore… balza sul topo, lo ghermisce, gli stacca la testa e la ingoia.

Esco dall’infermeria prima che morda il serbatoio del micidiale virus.

racconto di Marco Caruso – ogni diritto riservato

Un po’ di regionevolezza non guasta mai

Due novità tanto attese quanto confortanti che riguardano i diritti alla privacy e alla libertà degli utilizzatori di internet. Innanzitutto il Garante per la Privacy ha deliberato che i provider non possano MAI conservare i dati delle navigazioni degli utenti neanche si trattasse di metterli a disposizione del magistrato. Norme alquanto illiberali avevano paventato il contrario durante il governo precedente e quello appena caduto: quando si tratta di fare favori alle major musicali o cinematografiche è tutta una gara bipartizan.

Inoltre, il Tribunale di Roma ha confermato che non si può e non si deve parlare di reato quando si tratta di analizzare l’attività chiamata peer-to-peer cioè la condivisione di file tramite server o pc collegati. La sentenza è alquanto articolata ma di fatto serve a scostare la fastidiosa cappa di illegalità che il famigerato decreto Urbani gettò sui programmi e sui server che permettono tale pratica che, ove non sia dimostrata la violazione di diritto d’autore, non può e non deve, per esempio, autorizzare i provider a fornire gli elenchi dei navigatori che devono essere protetti da riservatezza. Insomma, non si può presumere, e a tal scopo utilizzare informazioni personali riservate, che la pratica del cosiddetto file-sharing sia comunque illegale e quindi intanto reclamare elenchi di liberi cittadini… al di sopra di ogni sospetto!

Povera Patria

Mi viene in mente una nota, e tristissima, canzone dell’ottimo Battiato… Ma possibile che in questo benedetto Paese si debba scendere sempre più giù?

Mentre su Marte la sonda Spirit conferma definitivamente l’esistenza di una preesistente civiltà extraterrestre inviandoci l’immagine di una statua  visibilissima sullo sfondo della sabbia rossastra, qui sulla Terra la scienza che confina con la fantascienza non basta a lenire i nostri affanni.

In Italia, poi, siamo specialisti nel rovinarci la vita. Lo spettacolo quotidiano che offriamo al mondo intero è davvero paragonabile alle tonnellate di spazzatura (italianissima, non solo partenopea, badate bene) che non trovano soluzione e stanno soffocando soprattutto la vita dei bravi campani che lavorano, pagano le tasse e vanno persino a votare. C’è tanta di quella maleodorante confusione che qui, il primo che si alza la mattina e parla, fa legge, specie se parla dal palco della Confindustria. Gente che, per definizione, pensa al proprio profitto, pretende di insegnare a noi come si vive. Peccato che la nostra vita quotidiana sia leggermente diversa dalla loro, come dimostra il tristissimo record di incidenti sul lavoro avvenuti non solo nelle fabbriche di proprietà straniera ma anche e soprattutto nei cantieri, laboratori, officine e industrie dei nostri cari imprenditori.

Sì, la politica mi fa ribrezzo, ma c’è chi riesce ad ispirarmi sentimenti peggiori. Signori confindustriali, imparate ad applicare le leggi a tutela di chi lavora prima di insegnarci a vivere. E prima di voi, dovrebbero rispettare le leggi di questo Paese gli istituti bancari che una ne pensano e centomila ne fanno. Ormai appare normale che costoro vengano citati a giudizio sia da singoli cittadini che dalle associazioni dei consumatori con tristissima regolarità, oltre ai reati penali che alcune grandi banche hanno visto contestati ai loro danni per vicende che hanno gettato sul lastrico migliaia di onesti risparmiatori.

Vorrei sapere, soprattutto, che diavolo fa l’ente statale deputato al controllo di lor signori: la Banca D’Italia. Il cui presidente è un altro che spesso si incarica di diffondere le sue personalissime ricette per risolvere i mali di questo Paese,dimenticando che se la prima banca del Paese funzionasse a dovere, molti di questi mali non esisterebbero nemmeno. Caro dottor Draghi, in attesa di vederla presidente del Consiglio per l’ennesimo governicchio tecnico, vuole cortesemente far funzionare gli uffici della Banca d’Italia deputati al controllo, alla verifica e magari alla reprimenda delle banche italiane? E’ a conoscenza che, per esempio, il cosiddetto decreto Bersani resta sostanzialmente inapplicato in molti casi costringendo la cittadinanza ad ingolfare ulteriormente i tribunali con vertenze che puntano a far rispettare la legge alle banche e alla corporazione dei notai? Alcuni suoi provvedimenti, dottor Draghi, oltre a far risultare in sovrannumero il personale di Bankitalia, hanno “reintegrato” l’Ufficio Italiano dei Cambi all’interno della generale organizzazione dell’istituto, decretando la fine di quella autonomia gestionale ed esecutiva che lo faceva funzionare tanto bene. Vedremo i risultati di tale operazione nel futuro: per ora, le buone funzionalità del sito dell’UIC, ad esempio l’ottimo convertitore di valute in tempo reale, non mi risultano più sufficientemente attive. E’ abbastanza per capire cosa ci aspetta, vero dottor Draghi? 

Anche la Banca d’Italia è autonoma per definizione costituzionale. In Italia, ultimamente, la Costituzione viene presa a pretesto quando conviene ai potenti e molto meno considerata quando si tratta di difendere i diritti costtuzionali appunto dei cittadini. A proposito, da quanto la magistratura assiste inerte ai proclami di rivolta di alcuni leader leghisti senza muovere paglia? Quando a scuola si insegnava educazione civica, mi ricordo che ci spiegavano il senso della nostra amata Carta costituzionale. Mi pare di ricordare che incitare alla ribellione, sputare sul Tricolore, organizzare o minacciare di farlo, polizie e armate locali lamentandosi nel contempo per la scarsità di armi disponibili, non sia propriamente compatibile con i doveri di qualunque italiano. Mi pare anche di ricordare quel che neanche stampa e politica ricordano spesso e cioè che la Padania è pura fantasia, non esiste nè come localizzazione geografica né come definizione politico-territoriale. Chiedere l’autonomia e minaccare persino la rivolta nel caso non sia concessa, di una qualunque porzione di questo Paese, immaginaria quanto si vuole, è comunque incitare alla ribellione contro la Costituzione, secondo me. Sempre che nel frattempo la nostra Costituzione conti ancora qualcosa, beninteso.

In questo bailamme, mentre la pubblica opinione è chiamata a scegliere se scandalizzarsi o meno che il Papa non sia molto gradito da parte degli univesitari romani (non mi pare, onestamente, il primo dei problemi che abbiamo)  l’attuale governo in carica è in bilico a causa delle leggi elettorali fatte dal governo precedente (da alcuni esponenti di quel governo definite “una porcata”).  Prodi è un equilibrista straordinario, peccato che nel momento in cui dovesse cadere, la rete siamo noi Italiani. Ed è una rete estremamente fragile.

Qui non si tratta di opinioni politiche, che nel mio caso non sussistono neanche. Da anni, giudico i pubblici amministratori per quel che rendono e non per quel che pensano. E’ evidente che il governo in carica ha raggiunto qualche importante risultato dal punto di vista economico e tutti gli indicatori internazionali lo confermano. Nel contempo, la gente è insoddisfatta per la sofferenza cronica che ogni mese deve sopportare a causa dell’inflazione interna e a livello europeo (dato non trascurabile dato che la nostra moneta è l’Euro) e la crescita dei prezzi soprattutto per quanto attiene alle merci di prima necessità. Pensioni e stipendi sono sempre meno adeguati a raggiungere la fatidica “quarta settimana”: questo è evidente quanto i buoni risultati citati prima.  Insomma abbiamo l’evidenza più chiara che i parametri della buona economia capitalista poco hanno a che vedere con le necessità di lavoratori, studenti e pensionati. Rimettere a posto i bilanci, far pagare le tasse, riassestare i conti pubblici non basta ancora ad assicurare benessere diffuso e risollevare la situazione dei ceti perennemente sotto la soglia della povertà che, anzi, stanno sempre peggio nonostante le briciole falsamente misericordiose dispensate dai governi degli ultimi vent’anni….

La soluzione non può essere far cadere questo governo anche perché chi lo sostituirebbe non è certo un nuovo soggetto politico ma solo quelli che hanno perso le precedenti elezioni. Da noi non c’è ricambio politico, chi viene trombato oggi, ce lo ritroviamo baldo e impavido nelle prossime elezioni, voglioso di sostituire chi verrà trombato domani. E’ democrazia, questa? Perchè tra le tante modifiche alle leggi elettorali che i signori politici propongono non c’è mai l’ineleggibilità, oltre che per i delinquenti, anche per i trombati?

E invece no. Cade Prodi e ci ritroveremo a scegliere tra Prodi e Berlusconi, come prima, più di prima. Il nuovo che avanza, insomma. Comunque la pensiate, qualunque voto daremo, uno dei due ci tocca. Sicuri che questa sia la democrazia che vogliamo? Perché oltre a sollevare questo dubbio io che non conto un accidente su questo piccolissimo blog, non ne parlano i potenti e ricchissimi giornali nazionali? Forse un giorno, a forza di stilare queste piccole note, se mi seguite e magari commentate, una idea migliore di democrazia la troviamo insieme, che ne dite?

GRATIS i primi capitoli del mio romanzo Una Donna vestita di Bianco

Come promesso, di seguito vi offro un’anteprima del mio romanzo

Una Donna vestita di Bianco

attualmente pubblicato da Lulu.com, come potete vedere nelle sezioni a sinistra.

Sono gradite le recensioni e citazioni di questo post. Grazie.

Una Donna vestita di Bianco

romanzo di Marco Caruso

fa15a30552da394c4baf2cee6c6a76b7.jpg

Volata sei, fuggita                                           come una colomba                                           e ti sei persa là, verso oriente.                                           Ma son rimasti i luoghi che ti videro                                           e l’ore dei nostri incontri.                                           Ore deserte,                                           luoghi per me divenuti un sepolcro                                           a cui faccio la guardia.

                                                                                                                                                                                                      V. Cardarelli

 

La presenza ossessiva del Tempo, come entità viva, quasi palpabile. Il suo cammino incessante verso l’eterno, indefinito orizzonte, al di là di ogni sguardo possibile. Quel suo modo di sorridermi, pacato, velatamente beffardo, insistente e continuo nel lento susseguirsi di avvenimenti inutili e noiosi nella mia vita…

Sensazioni che non sopporto più, che odio, che mi stanno annientando.

Ma l’errore è mio: la scelta e l’idea stessa della tortura: sono rimasto con il pensiero, con l’anima ed il sangue ad un giorno di cinque anni fa. Quel giorno, mia moglie Celia è scomparsa dalla mia vita.

Inizialmente, cercai un espediente per conservare, nonostante tutto, la lucidità necessaria per proseguire le ricerche, combattendo la disperazione e la paura che aggredivano il mio animo; circondai il mio cuore ed i miei sentimenti di alte mura, costruite, pietra dopo pietra, da un implacabile auto-controllo. Ma dopo il primo anno, mi resi conto che quel mio tenace sforzo di non cedere alla straziante rassegnazione che sembravano suggerirmi gli eventi, era diventato, in realtà, l’ultimo baluardo contro la follia che minacciava d’invadere la mia mente. E se anche ho constatato la fragilità del mio essere, non mi sono mai arreso completamente e perso così la speranza di rivedere mia moglie. Direi anzi che, in qualche modo, continuo a vivere di lei soltanto.

Vivere nel passato, vivere del ricordo di una donna che non c’è: la mia tortura e la mia ancora di salvezza. O forse, aveva ragione lui… forse questa è già la mia pazzia…

‘’Il suo studio era arredato completamente in bianco: candide anche le pareti. La sua voce era piatta, suadente, monotona, a tratti ossessiva. Lo temevo, ero nelle sue mani. Ed egli, schiavista moderno, infagottato in quel camice bianchissimo, dotato di un’apparenza e di una reputazione così pure, da santo salvatore  di menti in odore di follia… sorrideva. Feroce e determinato, parlava, ascoltava e sorrideva.

Sentivo nel suo cuore una determinazione inflessibile, mentre scavava nella mia psiche, analizzandone le strutture, la dinamica di ogni pensiero, la funzionalità d’ogni pulsione. Poi la violentava, giorno dopo giorno, dichiarando il tentativo di salvarla e redimerla. In realtà, ne stava forse annientando le ultime difese. Chissà se solo immaginava la mia sofferenza; se pure mi compativa, continuava a sorridere nel chiedermi, per l’ennesima volta:

– Dottor Charr, mi parli ancora di sua moglie.

Fissai i suoi occhi dietro gli occhiali tondi, e la barbetta grigia che contornava un ghigno indecifrabile.

– Lo sa, professor Nunzi: è una domanda che non mi piace. Nasconde una proposta che non voglio più sentire. Celia non è rinchiusa nella mia mente. Vive, libera, nel mio cuore. Ci lasci in pace, per favore.

Nunzi si alzò e da dietro la sua scrivania così ordinata, si avvicinò per chinarsi e parlarmi all’orecchio. Ma senza abbassare il volume della voce:

– Lo sa quanto me, dottor Charr, lei rischia di non uscire più da questo posto.

– Sono in prigione senza aver commesso alcun reato! Mi trattenete con un ricatto morale!

– Non proprio. Lei ha ridotto in fin di vita un uomo, sia pure, a quanto pare, per legittima difesa! E sa benissimo d’essere in forte difficoltà. Si lasci aiutare!

– Io dovrei essere fuori di qui, a cercare Celia! Il magistrato inquirente ha archiviato il caso. E’ scomparsa nel nulla ma non interessa più a nessuno. Devo trovarla da solo.

Nunzi tornò alla scrivania, ridendo sfacciatamente. Sapevo che stava semplicemente recitando la sua parte, nel seguire la strategia che aveva deciso per arrivare al centro della mia psiche. Dichiarava di volermi liberare dalle mie ossessioni! Era in combutta con l’uomo che mi aveva praticamente rinchiuso in quella clinica: il magistrato che indagava sulla scomparsa di mia moglie.

– Trovarla?! – riprese – Forse, sua moglie non ne ha alcun desiderio… Comunque, non è stata rapita: a questa conclusione è giunta l’inchiesta ufficiale, e non abbiamo motivi validi per dubitare dell’operato del magistrato inquirente, non crede?

– E’ questo, dunque, che volete da me? Devo dimenticare Celia? O magari, devo confessare un delitto che non ho commesso? E la giustizia avrà fatto il suo corso!…

– Qui nessuno parla di delitti, Charr. Ora, si calmi, e cerchi di parlare di sua moglie. Le farà bene.

Dovevo stare al suo gioco, ancora una volta, senza alternative valide.

 – Cosa vuole sapere?

– Come al solito, tutto. O meglio, tutto quel che le viene in mente. Tempo ne abbiamo, non crede?

Decisi di soffocare l’odio che provavo per il carnefice in camice bianco. Non avevo forza sufficiente per oppormi direttamente ai suoi scopi, ma potevo utilizzare la mia astuzia e recitare, a mia volta, una parte ben definita:

– Ho conosciuto Celia Hidebrook in Italia, a Roma. Inglese come me, ci presentarono durante un ricevimento presso la nostra ambasciata. Era appena arrivata dall’Inghilterra, voleva fare un po’ di turismo nel vostro Paese. Quella sera, mi disse che si sarebbe fermata a Roma solo una settimana; veniva da Ravenna, dove aveva visitato la tomba di Dante, ed aveva in programma un rapido giro nel sud Italia. Invece, non è più ripartita. Accettò subito la mia corte, il mio amore, che ricambiò con slancio sincero, con tenera, fervida, passione. Era poco più che maggiorenne, ed io avevo otto anni più di lei. Ma il nostro comportamento fu quello di due ragazzi alla prima esperienza vera, quella che ti segna per tutta la vita… Due mesi dopo, il matrimonio, celebrato nella chiesa di Santa Sabina. Celia odiava l’Inghilterra e l’ambiente che aveva lasciato. Parlava spesso del padre, con risentimento. Certo, tra loro non correva buon sangue, per quali motivi, non so. Non volle invitarlo alla cerimonia e non rispose neanche ad alcune sue lettere, recapitate presso l’ambasciata.

– Una figlia ribelle? Una ragazza di buona, ottima famiglia che fuggiva da una vita agiata?

– Well, la ricchezza in cui era vissuta non aveva compensato in alcun modo la perenne carenza d’affetto che aveva caratterizzato la vita di Celia prima del nostro incontro. Aveva un bisogno quasi morboso d’amore. Ed era una creatura unica, dolce, bellissima…

– Perché ha detto era?

Lo fissai, perplesso.

– … Non è più bella? O non è più su questa terra?

Mi alzai, furioso, stringendo i pugni per contenere, in qualche modo, la voglia di colpire quel viso ghignante. – Non cerchi di provocarmi, canaglia! So bene cosa pensa, cosa cerca di farmi dire! Ma non riuscirà né a farmi impazzire, né a costringermi a confessare un uxoricidio! – urlai.

Nunzi era diabolico: manovrava le mie reazioni emotive come un burattinaio. Ed i miei sentimenti, burattini votati al sacrificio finale, non avevano difese né dignità sufficiente per essere risparmiati.

– E’ stato felice, con lei? – chiese poi, con inaspettata dolcezza.

– Sì, indubbiamente! – sbuffai, nel rimettermi seduto. Ero caduto nel solito gioco: provocava la mia indignazione per costringermi a reazioni inusitate, oltre la barriera dei freni inibitori che, nel suo assurdo teorema, potevano coprire una confessione…

– Per quanto tempo?

– Finché non è sparita, ovviamente!

– Non è poi così ovvio, dottor Charr. Io so che il vostro matrimonio andò avanti benissimo per oltre un anno; poi, tra voi si verificarono forti dissapori, e liti sempre più frequenti…

Con la pazienza di quei bambini che ripetono i loro giochi come un rito collettivo e non più per divertimento, mi accinsi a rievocare, per l’ennesima volta, quei ricordi:

– Tutto cominciò quando le crisi di Celia riapparvero improvvisamente, dopo anni di stasi. Ma quante volte ne abbiamo già parlato?

– Queste crisi… non potrebbero essere frutto della sua fantasia? Una scusa, una versione ufficiale degli eventi che il suo ego ferito, caro dottor Charr, ha architettato per non ammettere una bruciante sconfitta sentimentale!

– No! Celia era una medium naturale dotatissima. Me ne resi conto per caso, durante una seduta a casa di una mia amica, fatta quasi per scherzo. Per quanto mi riguarda, poi, ho sempre frequentato l’ambiente dei medium per motivi di studio e di lavoro.

– Sono al corrente dei suoi metodi di ricerca piuttosto inusuali, che sposano la parapsicologia all’archeologia, con risultati sorprendenti.

– Sto solo proseguendo il lavoro di un suo connazionale…

– E comunque, lei resta un etruscologo di fama internazionale, anche se molto criticato dai suoi colleghi, seguaci e fautori di una disciplina più cattedratica. Anche a me interessano i fenomeni extra-sensoriali, e mi chiedo: è mai possibile che sua moglie sia ancora in uno stato di trance che dura da cinque anni?

– Non credo, e non ho mai detto questo. Piuttosto, a causa d’un forte shock medianico può aver perso la memoria. Le crisi di Celia erano di breve durata, ma violentissime, e potevano insorgere nel raggio di qualche chilometro dal luogo in cui si teneva una seduta spiritica. Purtroppo, oggi lo spiritismo è diffuso almeno quanto la psicanalisi.

– Poveretta!, una crisi continua…

– Il suo sarcasmo è fuori luogo. Mia moglie soffriva molto. Aveva il temperamento tipico di certi sensitivi: instabile, umorale, alternava momenti di depressione ad esplosioni di una strana euforia.

– O forse, era semplicemente stanca del vostro rapporto. Mi parli del giorno in cui è scomparsa.

– E’ successo tutto molto in fretta. La sera del secondo anniversario delle nostre nozze, la sua Mini fu ritrovata parcheggiata sotto la nostra abitazione, ma di Celia,  nessuna traccia. Sparita, volatilizzata già da due giorni, senza un perché. E dopo il suo rapimento, la macchina fu riportata sotto casa da chissà dove. I poliziotti mi dissero che a Roma molta gente, ogni anno, scompare senza alcun motivo apparente, e non se ne sa più nulla. Minori, anziani, persone mentalmente instabili… E dopo i primi concitati momenti, tra lo sgomento e lo strazio dei familiari, questi tragici episodi finiscono nel dimenticatoio di una collettività che forse, al di là di ogni cosa, desidera soprattutto non sapere…

Nunzi giocherellava con una penna d’oro. Il suo luccichio sembrava affascinarlo.

– Continui, la prego.

– Non c’è molto da aggiungere. Il funzionario che si occupò delle prime indagini deve aver convinto il magistrato inquirente che nella sparizione di mia moglie non si potevano riscontrare elementi che  facessero pensare ad una fuga volontaria…

– So benissimo cosa pensa il giudice Sacco! – esclamò, secco, Nunzi – Siamo amici d’infanzia e spesso ho collaborato con lui. E’ per questo che lei si trova qui, invece che in galera o magari in manicomio criminale. Comunque, Sacco da lei voleva, essenzialmente, spiegazioni, senza ottenerne abbastanza. Spera tuttora nel mio aiuto. E’ infatti convinto ancor oggi che la chiave del mistero sia lei, dottor Charr, e non sua moglie!

– Ma non può accusarmi direttamente di alcunché. Ed allora, vorrebbe una mia confessione. E lei, esimio professore, con tutta la sua scienza non riesce a capire che non ho ucciso Celia. Non sono capace neanche di ucciderla dentro me stesso…

Nunzi sorrise stranamente, ma continuò ad infierire, imperterrito, crudele come il mal di testa che mi perseguitava da mesi:

– Il vostro matrimonio, probabilmente, era finito già prima che sua moglie sparisse. I vicini di casa vi sentivano litigare furiosamente. I vostri amici erano convinti della crisi irreversibile del vostro rapporto. Risulta chiaramente dalle loro deposizioni agli investigatori: vi amavate, ma non sapevate stare insieme. Caratteri troppo diversi, abitudini radicalmente contrastanti. I colpi di fulmine, gli amori improvvisi, spesso sono traditori: celano difetti, differenze comportamentali che verranno spietatamente evidenziate dalla vita in comune. Celia è fuggita? E’ stata rapita? E’, forse, stata assassinata? Qual è la verità, Charr? Una verità che lei può ignorare, certo, o che, più probabilmente, ha deciso di  seppellire in un angolo oscuro della sua mente, inaccessibile alla memoria.

– Sacco sospetta di me perché Celia era ricca. Scommetto che ne avete parlato. Ma i suoi soldi sono rimasti in Inghilterra: li amministrerà il padre fino alla sentenza di morte presunta. E quei soldi non m’interessano. Sono tornato in Patria, prima di finire qui dentro, solo per cercare, nel passato di Celia, una possibile spiegazione di quanto è avvenuto… Ho parlato con quel terribile vecchio che è Charles Hidebrook, inutilmente. Un viaggio del tutto infruttuoso. Mia moglie è veramente sparita nel nulla: ovunque sia ora, appartenente o meno al regno dei vivi, non ha lasciato una sola traccia utile a scovarla. Questa è la sola verità che posso considerare, purtroppo!

– In fede, non so cosa sia meglio augurarle. Devo occuparmi della sua salute mentale. E posso darle una notizia che, indubbiamente, le farà piacere. Ormai sono giunto alla conclusione che il mio compito, in un certo senso, finisce qui. Convincerò Sacco che è più utile vederci di tanto in tanto per una breve seduta d’analisi, e lei potrà, se lo ritiene utile, continuare a cercare sua moglie… Del resto, ognuno è padrone d’inseguire le chimere che vuole! Ma spero sinceramente, dottor Charr, che lei voglia tornare alla sua attività accademica. Recentemente ho letto qualche sua opera, che ho trovato estremamente interessante. Torni al suo lavoro, torni alla gente. E si rifaccia una vita, per quanto possibile. ’’

  Ho ripreso così la mia vita di uomo solo e tranquillo.

Sto aspettando. Che altro potrei fare? Oggi sono cinque anni esatti che non vedo Celia. Un anniversario doloroso.

       Mi guardo allo specchio. Non sono cambiato poi molto, dal mio ingresso a Villa Speranza. La barba ed i capelli lunghi, più che un segno del tempo, indicano la mia trascuratezza.

Ho lasciato l’università. Vivo dei proventi dei miei libri e di qualche, occasionale, articolo. Sono ancora famoso al pubblico degli appassionati, odiato dai colleghi, ed avversato dagli storici. Mi accusano di voler cambiare l’Epopea Etrusca, come fosse affare loro… Mi trattano da cialtrone, da sognatore imbecille che confonde il paranormale con l’archeologia solo per trarne vantaggi personali. Ed essere uno straniero, non m’aiuta affatto.

C’è chi, con ironia, utilizza le mie vicende personali per screditarmi ulteriormente. Gli sguardi di compatimento degli studenti del mio ultimo corso, erano insopportabili.

Esco. Le strade intorno San Pietro sono gelide come il colore dei marmi. Tira un vento penetrante che mi costringe a rialzare il bavero del mio giubbotto. Un tempo, questi pavimenti erano inondati dal sole, e delle immagini luminose della Città Eterna si beavano gli occhi di Celia. Qualcuno mi saluta ancora. Gli sguardi della figlia della vicina sono ancora pieni d’interesse. Anche Celia aveva simpatia per lei e le sue lentiggini sul musetto dispettoso. La invitava spesso per il tè. E nei giorni successivi la sua scomparsa, la ragazza, appena maggiorenne, prese l’abitudine di venirmi a trovare, sempre più spesso ed ogni volta con una gonna più corta. Amavo ancora troppo mia moglie, e decisi di troncare quella relazione sul nascere.

Fu poi la volta di una studentessa del mio corso, romantica come sanno essere solo certe ragazze italiane. Con lei mi trovai bene, ma il fantasma di Celia e la mia conseguente irrequietezza la stancarono presto. Siamo, comunque, rimasti buoni amici.

Ora, la solitudine. Una domenica come le altre. Settembre, il mio anniversario così tragico da considerare, tra i turisti di fine stagione che cercano di succhiare ancora un po’ di Roma e gelati quasi sempre scadenti, sopportando meglio dei Romani lo smog ed il traffico.

Molti Inglesi, quest’anno. I miei compatrioti sono meno disordinati degli Yankee e meno curiosi dei Giapponesi. Ma resisteranno meno degli altri. Sentiranno ben presto nostalgia d’un pub affollato e tranquillo, o si sorprenderanno a rimpiangere la foschia inquieta di una qualsiasi brughiera. Partiranno prima di finire i loro risparmi. Questo penso, mentre faccio il giro di piazza Risorgimento, dove acquisto un quotidiano italiano ed uno in lingua inglese, oltre ad un paio di riviste d’archeologia. Continuo a camminare in via Cola di Rienzo, interminabile e piena d’ottimi negozi, fino ad una traversa che mi porta a piazza Cavour: meno traffico e più verde. Voglio mangiare del pesce, in un certo ristorante di mia conoscenza. Prenderò poi la metro per piazza di Spagna, dove sorbirò il tè delle cinque in uno dei pochissimi locali in stile inglese della Capitale.

Rientro nel mio appartamento, vicino le Mura Vaticane, alle venti. L’importante è che un’altra, inutile giornata, sia trascorsa senza danno. Del resto, il dolore nella mia anima sta, negli anni, lentamente sfumando in un orribile, ma anestetizzante, miscuglio di noia, apatia, trascuratezza, rassegnazione…

Sento squillare il telefono. E’ Marta, una mia vecchia amica.

– Salve, vagabondo!  – urlacchia, cercando di scimmiottare il mio accento anglosassone – T’ho cercato tutto il giorno. Dove t’eri cacciato? Ohè!, buoni, di là…!

Sento un gran fracasso. La sua voce è appena distinguibile.

– Sono stato un po’ in giro.

– Lo dici con un tono… Sei del solito umore, vero? Beh, vieni da me! Siamo in parecchi e ci divertiamo un mondo!

– Vi rovinerei la serata.

Ride, gioviale come sempre – Siamo già tutti brilli, e dopo un bicchiere di quello buono ti sentirai meglio anche tu. Allora, vieni?! –

– Marta, non è il caso…

– Cos’hai detto?… Qui c’è un casino… Non farti pregare troppo! Indovina chi c’è, stasera?

– I soliti matti, naturalmente.

– Non solo. C’è anche Enrica. La tua studentessa preferita, se non ricordo male! – e giù un’altra  risata.

– Sarà deliziosa come sempre, ma proprio non me la sento. Voglio stare per conto mio. E’ il quinto anniversario della scomparsa di Celia.

– Celia, Celia, bella Celia… – canticchia – Forse, stai esagerando, Mark. Enrica!, vieni al telefono.

– Ti saluto, Marta. – e riattacco.

Ho la gola secca. Mi preparo un Martini. Enrica! Mi ha scritto, quando ha saputo del mio forzato esilio in clinica, ma non le ho risposto. Odio la compassione altrui. Mi basta quella che provo per me stesso. E che farà, stasera, in mezzo a quei matti che Marta si porta a casa?

Lascio il Martini ad attendere il mio ritorno.

Marta è stata la prima persona, qui in Italia, a trattarmi gentilmente. Ero solo uno studente, allora, e lei già si interessava alle mie idee, ai miei lavori. Comunque, mi fece ben presto capire che era affascinata più dal mio corpo che dagli Etruschi; nel frattempo, mi aiutò ad imparare la lingua, a conoscere molta gente e, in definitiva, ad entrare negli ambienti che m’interessavano. All’epoca, era ancora una bella donna, ricca, e poteva vantare conoscenze d’un certo rango e frequentare tutti i salotti che contano a Roma.

Quando incontrai Celia, Marta capì tutto e si fece da parte. Ora cerca di contagiarmi con la sua sfrenata voglia di vivere, la sua allegria, forse più ostentata che reale. So che teme la vecchiaia oltre ogni cosa, e, superati i cinquant’anni, combatte indomita la sua battaglia contro le rughe, pur sapendo che non vincerà mai.

Lascio la vecchia Taunus vicino il Centro Storico. Il portone che cerco è in una traversa di via del Corso. La scala, più volte restaurata, conduce all’enorme appartamento della mia amica: occupa interamente l’ultimo piano.

Quando suono il campanello, non apre la porta una delle due cameriere filippine, ma proprio Enrica…

– Salve. Ti trovo bene. – riesco a dire, mentre guardo il lungo vestito di seta nera fino allo spacco all’altezza dell’inguine. I lunghi capelli biondi sono legati sulla nuca da un semplice nastrino argentato. Completa il ritratto di donna romana una notevole abbronzatura, probabilmente naturale solo in parte.

Emana sensualità come prima, come la ricordavo.

-Anch’io ti trovo bene. – mi bacia sulla guancia – Pensa che, fino ad un attimo fa, ti odiavo.

– Per così poco… Marta?… Chi c’è, stasera?

– Tutti! A cominciare da Rebrilli, il sottosegretario del nuovo governo, e Festa, il presentatore televisivo, con il solito seguito di attricette. Poi, qualche commerciante facoltoso in cerca di emozioni forti e relative mantenute… Le prime proposte di orge sono state respinte dalla maggioranza delle signore, ancora abbastanza lucide.

– Ho capito: Marta ha aperto la sala rossa, stasera.

– E sta continuando a servire fiumi di vodka e rum. Tra poco, comincerà il rito.

– Ancora con quelle fissazioni sulla magia nera! E’ sempre infatuata di quell’idolo pre-cristiano?

– Sì: è ancora al suo posto, al centro della sala rossa. La raffigurazione d’un demone, vero?

– Probabilmente, la testa in pietra d’un antico demone dei boschi. Ma non disprezzarlo: è un pezzo da museo, per quanto rozzo nella fattura. Ma non vedo servitù.

– Te l’ho detto – sorride Enrica mentre procediamo lungo l’interminabile corridoio principale, verso la sala oggetto dei nostri discorsi – Stasera ha voglia di giocare.

– Per lei non è un gioco. Marta è una satanista in piena regola. Innocua ma determinata.

Ed infatti, la troviamo stesa sul divano nero, circondata dai suoi adepti-ospiti, seduti su alti tappeti di pelliccia. Il salone è illuminato da alcuni faretti nascosti dai tendaggi rossi, mentre presso un piccolo altare davanti la testa del demone, posta al centro di una colonna di marmo nero, in un braciere d’ottone bruciano rami di timo e d’alloro. L’impianto di condizionamento dell’aria convoglia il fumo all’esterno del finestrone centrale, ma l’aroma è comunque fortissimo.

Non ci sono altri mobili. Solo pellicce e cuscini di seta naturale rossa sul marmo antico del pavimento. Ora, se non ricordo male il rito, la padrona di casa, nella sua funzione di sacerdotessa, predicherà la magnificenza del suo dio; poi, i ‘festeggiamenti’.

– Ah!, sei qui, finalmente… – mi apostrofa Marta, alzandosi nella lunga tunica rossa. Barcollando, viene ad abbracciarmi. Puzza di quel terribile miscuglio di sua invenzione: un alcolato a base di erbe e bacche non meglio identificate. Gli sguardi appannati degli altri commensali seguono il suo passo incerto. Decine di coppe e boccali d’argento, posati alla rinfusa sul pavimento, testimoniano l’importanza della riunione.

– Saluta Baal, amico mio! – mi esorta, speranzosa. Segno che è proprio brilla, ormai.

Non posso fare a meno di sorridere. Il noto presentatore televisivo fissa il soffitto come fosse lo schermo per la proiezione dell’ultimo successo della stagione cinematografica. Un assessore comunale russa, paonazzo in viso.

– Di’ la verità, Marta. In quel tuo miscuglio, un po’ d’oppio lo metti!

– E’ sempre affascinante il tuo italiano; come sei sempre ‘bbono, Mark! Se non ci fosse Enrica!… Scommetto che è ancora gelosa di te, pazzerellone mio! Uhm… Un pizzico d’oppio aiuta la concentrazione. Stiamo adorando Baal!         

E ride istericamente. Pare conciata maluccio.

– Ma quello non è Baal – commento, mentre smette di sghignazzare – Te lo ripeto, per l’ennesima volta: la locazione del ritrovamento, la fattura e le analisi eseguite dimostrano che la testa di demone è stata scolpita da un artigiano dell’alto Lazio, più o meno tremila anni fa.

– Per me è Baal! – ribatte Marta, irritata. Non sorride più – T’ho invitato perché il rito di questa sera è dedicato a chi non è più tra noi. Per esempio, a mio figlio, che Baal chiamò nel suo reame di luce tanti anni fa; al nobile e valoroso conte Sammartini, morto la settimana scorsa… e a tutti i fratelli che hanno adorato il dio in questa sala ed ora… non possono dividere, per qualunque motivo, questo nostro sacrificio. Parlo anche della tua Celia.

Queste fissazioni, penso, alla lunga stancano. Ma la bontà del personaggio, aiuta a provare la compassione dovuta. Marta, che sa benissimo la mia opinione in merito, testarda, ribadisce:

– Proprio così! Stasera, il dio parlerà ancora! Potrai sentire con le tue orecchie.

Quel che sento è, invece, un forte odore d’oppio bruciato. Viene dal braciere o dalla sigaretta di qualcuno. – Peccato che io non possa attendere. E credo che anche Enrica abbia bisogno di una boccata d’aria fresca.

Marta s’aggrappa al mio braccio, mi trattiene – Non vuoi sapere qualcosa di Celia? – sorride stranamente, stralunata.

– Mi occupo, talvolta, di parapsicologia, ma questo genere di magia evocativa non m’interessa!

– Baal parla per mezzo della mia bocca, proprio come lo spirito di quel sacerdote etrusco che tanto hai utilizzato per le tue opere! E proprio come i tuoi medium, io non sono cosciente. Egli sovrasta la mia volontà, annulla la mia consapevolezza, per innalzarsi, trionfante, sulle nostre miserie, i nostri peccati, illuminando le nostre miserabili vite… E’ un dio tremendo ma pietoso. Sa curare le ferite di chi lo ama. Io sento che stasera parlerà di Celia! Contro la mia volontà, semmai, di riaprire questa vecchia ferita, credimi… Non sai quanto darei per farti dimenticare, per non vederti più soffrire… Non puoi capire, così come non capirai mai quanto t’ho amato… Ma basta! E’ tempo di sentire Baal!

Enrica mi fa un cenno: vuole andarsene. Mentre va a prendere la sua pelliccia nel guardaroba, do un bacio sulla guancia infiammata di Marta. Sto provando da un po’ il senso di inebriato stordimento tipico dei fumi d’oppio.

– Mark, resta! – implora Marta, istericamente – Io ho tanto amato… ho tanto odiato… come te, come tutti! Ma c’è un punto, nella vita d’ogni essere umano, in cui si prova il bisogno di volgere lo sguardo dentro sé stessi! Per molti, questo è l’atto finale… E tu, proprio tu, non vuoi restarmi accanto, stanotte?

La sua voce stridula m’insegue lungo il corridoio illuminato dalle vampate del braciere.

Appena in strada, anche l’aria inquinata del Centro mi riesce gradita. Guardo Enrica: non sembra stordita…

– Da quanto fumi oppio?

Non sembra imbarazzata – Da un anno. Marta è molto generosa. Matta ma simpatica.

– Ti avrà consacrato Vergine di Baal, immagino. Scommetto che balli nuda, durante le cerimonie orgiastiche del plenilunio!

Ci infiliamo nella mia macchina.

la storia continua con la ricerca affannosa che il professor Charr intraprenderà una volta appreso che la moglie è forse tornata anche se in circostanze misteriose. Tra indagini serrate, morti sospette e il rinascere dell’antico culto etrusco in un crescendo di emozioni e colpi di scena, Charr inseguirà la Donna Bianca tra Roma e Viterbo, lottando contro nemici mortali ma anche dubitando continuamente della propria stabilità mentale…

Potete acquistarlo su Lulu.com i nversione cartacea o scaricarlo sul vostor pc per un prezzo ovviamente di molto inferiore, seguendo il link nella sezione a sinistra. Buona lettura! 

Letture gratis su questo blog!

Finalmente tra pochi giorni potrete leggere le mie opere su questo blog GRATIS

GIALLI, FANTASCIENZA, MISTERO e altro ancora

Leggete di seguito come e perché…

Cari amici, lettori di questo blog. Come ricordano i visitatori del sito www.misteritalia.it, il sottoscritto, emarginato e rifiutato dalle case editrici italiane a causa della cronica mancanza di raccomandazioni, offre gratuitamente le proprie opere a chiunque abbia la pazienza e la voglia di leggerle… In cambio, vi chiedo di parlare a tutti i vostri amici e conoscenti di questo blog e soprattutto, se potete, di aiutarmi con libere offerte che potrete fare tramite paypal.

Nulla è dovuto in cambio della semplice lettura di quanto sarà qui offerto, ma resta la possibilità, se volete, di versare qualunque cifra come libero contributo alla mia creatività.

Se volete altre delucidazioni, scrivete al mio indirizzo di posta elettronica. E comunque grazie per la vostra presenza su questo blog!

Un pensiero

Volate via le feste, con la solita orgia consumistica che sottrae senso e tempo alle meditazioni che dovremmo riservare a certi eventi, voglio dedicare un pensiero a quanti hanno perso la vita, sul posto di lavoro, in questo triste 2007.

Ancora oggi, lavorare per quattro soldi può voler dire rischiare l’incolumità personale oltre alla propria dignità. Il Governo e i sindacati si interrogano su come migliorare redditi e sicurezza sul lavoro, dimenticando che la Repubblica più che sul lavoro sembra quanto mai fondata sullo sfruttamento di chi lavora.

Viene da chiedersi: chi è che firma certi contratti? E chi dovrebbe controllare uffici, fabbriche, cantieri per verificare ed eventualmente sanzionare?

Quante lacrime di coccodrillo vediamo scorrere dopo le solite tragedie!

Intanto la contro-letteratura trionfa nel mondo (la saga idiota di quel simbolo del nulla proveniente dalla Gran Bretagna ha venduto 350 milioni di copie!), da noi si legge sempre meno (e ti credo…) e la stampa continua ad essere sovvenzionata dallo Stato. Se avete qualche motivo di consolazione a tutto questo, vi prego di inviarmelo. E buon 2008!