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LA TERRA INVASA DAI RETTILI

Il romanzo sta andando bene, nella classifiche di vendita di Amazon. Considerate che se ne parla in questo e un paio di altri blog, e quindi il mio, piccolo, pubblico di lettori non usufruisce della copiosa pubblicità fornita ai titoli di grandi e medi editori, che poi fanno pagare al lettore questa pubblicità applicando prezzi di 10-15 euro alle pubblicazioni che potete trovare in libreria.

Altri scrittori come me, espulsi dal mondo dell’editoria tradizionale, possono offrire a un prezzo simbolico, il prezzo di un caffè, un romanzo comodamente scaricabile sul proprio dispositivo elettronico, senza spreco di carta, senza doversi recare in una libreria e senza spendere cifre eccessive.

A questo proposito, vi offro un altro estratto gratuito dal libro.

La trama è molto semplice: si narrano le rivelazioni di alcuni addotti riguardo la temuta, feroce, invasione rettiliana della Terra, in un crescendo di tensione e di colpi di scena degni di un thriller.

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Dopo il primo incontro, una sera di quel gennaio che stava per salutarci, ragionai parecchio su questo personaggio e quel che prometteva di rivelare. Certamente, il mio amico Carlo non poteva che concordare con la sua storia ed era il suo maggior alleato. B. stava fuggendo da una minaccia per lui reale, questo era indubbio. Inoltre, presentava un impianto perlomeno sospetto, sul temporale destro, dietro l’orecchio.

Al di là della sua storia, questi erano gli unici dati certi. Per una seria indagine di tipo paranormale, avrei dovuto reperire informazioni sui suoi genitori, il luogo dove aveva vissuto prima di iniziare quel suo girovagare in perenne fuga e capire qualcosa della sua personalità e delle sue abitudini da parte di chi lo aveva conosciuto. Avrei dovuto, insomma, conoscere la sua identità magari utilizzando i dati anagrafici per risalire al suo passato… Metodologia che B. non gradiva di certo. Era per lui indispensabile proteggere il suo anonimato.

Mi restava il tentativo di studiare direttamente il soggetto e le sue rivelazioni. Almeno su queste, avrei potuto applicare un metodo di seria indagine scientifica.

Ragionai su tutto questo fino al nuovo incontro. Lavorando in un grande ufficio, avrei potuto utilizzare solo le ore serali anche se durante una parte di ogni mese, potevo muovermi liberamente poiché il mio impiego era di tipo part-time.

Carlo sarebbe stato il mio tramite e giacché B. si fidava ciecamente di lui, lo utilizzai, inizialmente, per rivedere la persona che per il momento potevo considerare un sensitivo-canalizzatore, almeno al fine di poterlo inserire in una categoria determinata di studio.

Ovviamente, ben presto avrei abbandonato quel metodo e, di conseguenza, implementato la ricerca diretta sul campo. Gli eventi che narrerò, chiariranno come e perché.

Desidero, a questo punto, sottolineare che io ho sempre trattato argomenti inerenti alla pura ricerca parapsicologica. L’ufologia classica, per quanto mi riguarda, non rivestiva che un interesse di contorno. Del resto, al fine di studiare determinati eventi correlati alle apparizioni di esseri provenienti da altre dimensioni o da altri piani di esistenza materiale, potevo avvalermi dell’enorme materiale che era possibile ricavare dall’archeologia alternativa e dallo studio delle religioni comparate. I fenomeni contemporanei di interferenza aliena, compresi quelli vissuti e descritti da B., erano tipici di molti momenti del passato, raccontati da intere generazioni di popoli coinvolti in un confronto persino clamoroso con chi veniva a trovarli dalle stelle.

In particolar modo, la famosa Teoria degli Antichi Astronauti, era per me molto più interessante e ricca di spunti piuttosto che una pletora di milioni di avvistamenti riguardanti puntini luminosi in cielo fatti in ogni parte del mondo e illustrati da vecchi libri, giornali o riviste, siti internet e persino da Youtube.

Parlo, dunque, di quanto possiamo conoscere della mitologia sumera, egizia, indiana, dell’America precolombiana; ma anche tramite una corretta lettura dei testi sacri della Bibbia e della Torah. E perché no, dei Libri di Enoch oltre ai Veda e i Vedanta.

In realtà, un campo di studio davvero imponente, completato da incredibili scoperte archeologiche che, più che altro, trovano una modesta diffusione mediante i media tradizionali e magari qualche post su internet, per poi tornare nel dimenticatoio, dopo aver raccolto la polvere di millenni.

Ero uno studioso di Parapsicologia che aveva trovato nella Teoria degli Antichi Astronauti, la risposta a molti quesiti in precedenza irrisolti. Bastava sostituire i termini Diavolo e Angelo con Alieno ostile o amichevole, e il gioco era fatto. Tutte le tessere di un mosaico intricatissimo tornavano al loro posto come per magia.

Ecco perché quando conobbi B., quel che già sapevo, o credevo di sapere, mi fu davvero utile per iniziare a comprendere i termini della sua odissea. Ma andiamo con ordine.

Il secondo incontro tra noi, presente ancora Carlo, avvenne di giorno, il mese successivo, nei pressi di un terreno praticamente incolto, tra Viterbo e Tuscania, poco oltre Castel D’Asso.

Trovai Carlo che chiacchierava pacificamente con B., appoggiati entrambi alla vecchia Mercedes blu del mio amico parcheggiata a lato della strada provinciale. La giornata era mite anche se fredda, dato che eravamo ai primi giorni di febbraio.

  1. mi fissava accuratamente mentre lo salutavo, abbracciando nel frattempo il mio amico che sembrava entusiasta di quell’incontro.

– E’ qui – mi disse subito – che li ha visti l’ultima volta.

– Mi stavi fissando, prima, con una certa intensità – gli dissi, a bruciapelo.

– Possono mutare forma. – rispose – e dovevo essere certo che fossi tu.

– Solo guardandomi?

– Hai freddo? – domandò, senza rispondermi.

– Non molto. Amo il periodo freddo dell’anno.

– E tanto basta.

  1. continuò il discorso iniziato il mese prima senza altri preamboli:

– L’Uomo-drago che mi aveva parlato, ebbe il tempo di salire, come se si trovasse su un ascensore, verso una grande nave nera che lo attendeva tra le nuvole. Mi disse di non rimuovere mai il dono che mi aveva fatto con la pistola magica in quanto era l’unico modo che aveva per trovarmi. In quel momento, doveva far perdere le sue tracce ai nemici che lo stavano cercando. Mi raccomandò chiaramente di nascondermi, di non dare mai a nessuno punti di riferimento. Se non disponevo di un posto sicuro, era meglio viaggiare come un nomade, e non aprire mai conti correnti, stipulare contratti o documenti che provocassero il rilascio d’informazioni personali.

– Riuscivi a parlare con loro? O era una comunicazione telepatica, cioè con il pensiero?

– Devo dire, a onor del vero, che da bambino li percepivo nei sogni, o quelli che credevo fossero sogni. In qualche modo parlavano con la mia mente. Negli anni successivi, mi rendevo conto di poter tradurre mentalmente il loro linguaggio. Essi possono parlare, cioè emettere suoni; ma è loro facoltà comunicare con la mente. Una doppia possibilità di comunicare con noi.

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LA TERRA INVASA DAI RETTILI

romanzo a soli 0,99 euro solo su Amazon.it  

Cliccate sulla copertina per scaricare il libro.

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LA TERRA INVASA DAI RETTILI: una versione degli addotti

Il mio romanzo LA TERRA INVASA DAI RETTILI, attualmente disponibile su Amazon.it al prezzo di 0,99 centesimi,  parla delle rivelazioni degli addotti, ovvero persone rapite da esseri extraterrestri, che raccontano come la Terra sia in pericolo per colpa dei Rettiliani, esseri provenienti da altre regioni del Cosmo che da sempre hanno visitato il nostro pianeta, e ibridato gli ominidi che trovarono durante la loro prima venuta, un milione di anni fa.

Questo estratto fa parte del libro e racconta un incontro con due addotti, coniugi, che rappresentano il prototipo dell’addotto-tipo: persone che mostrano sconcerto e sconforto a causa dell’avventura subita, oltre il terrore di essere rapiti nuovamente:

Arrivammo nei pressi della piccola frazione in provincia di Viterbo solo due ore dopo. Il tempo si era fatto minaccioso e la pioggia aveva invaso parte della carreggiata creando rivoli di fango liquido che ostacolava non poco la circolazione.

Carlo si era chiuso in un ostinato mutismo. Sembrava rimuginare la storia del mio incontro. Certamente, a differenza di quanto potevo fare io stesso, riusciva a inquadrare il dialogo con l’aliena in una fattispecie di rapporto ufologico ben definita.

In quel momento ancora non immaginavo la reale portata delle azioni del Gruppo Alfa e tantomeno la consistenza delle loro dotazioni strategiche. Certo, capivo la necessità del loro riserbo e potevo finanche ricondurre in un contesto logico i racconti che mi avevano fatto. Che poi a me sembrassero persino incredibili, in molti passaggi, non faceva testo.

La somma delle loro conoscenze era per me ancora un mistero e comunque il mio amico non aveva fatto granché per chiarirmi meglio la portata delle loro operazioni.

Carlo fermò l’autovettura davanti a una villetta, a pochi metri dal centro dell’abitato principale. Il silenzio era calato su quella zona, mentre la pioggia, che ancora scendeva copiosa, non essendo accompagnata da fenomeni elettrici, poteva distendere il suo manto silenzioso sui campi e sui prati con assoluta tranquillità, quasi con mestizia.

Non udivo alcun suono provenire dai pochi edifici che potevo vedere e tantomeno dalla residenza dei nostri contatti. Il cielo perfettamente livido riversava le sue lacrime su di noi e questo era tutto, in quella serata così umida e fredda.

Carlo, che indossava un pesante impermeabile scuro, suonò il campanello in tre sequenze ben distinte. Evidentemente, un segnale convenzionale. Il suono elettrico di sblocco della serratura di un portone metallico mi fece comprendere che gli inquilini avevano predisposto un impianto di allarme.

Ci venne incontro un signore di mezza età, nell’ingresso illuminato da una lampada ecologica. Un uomo ben piantato, che indossava un gilet su pantaloni di velluto, dal portamento dinamico. Dietro di lui, davanti alla porta di un saloncino, potevo vedere la moglie, apparentemente molto più giovane. Era una donna bionda, alta e slanciata, con l’espressione più fiera che spaventata. Portava i capelli raccolti in una treccia dietro la schiena e il contrasto con la delicata felpa color rubino era notevole. Ci strinsero la mano e ci invitarono ad accomodarci nel soggiorno.

La stanza, abbastanza comoda, era arredata in maniera non convenzionale: mobili interamente di caucciù e di vimini, con un tavolo e una credenza intarsiata in legno di ciliegio, quest’ultima davvero deliziosa nella sua semplicità. Il grande lampadario centrale era anch’esso di legno cesellato con i disegni di curiose figure silvestri e l’illuminazione era completata da due lampade a stelo poste nei quattro angoli della stanza, dietro altrettante poltroncine di vimini.

Quella abitazione dava l’idea di una grande armonia e di una certa pace interiore.

Mino e Lidia si presentarono, e Mino aggiunse, rivolgendosi al mio amico:

– Abbiamo contattato la persona che conosci e che ci ha parlato del gruppo e della vostra attività. Il mio lavoro di rappresentante di articoli elettronici e quello di Lidia, giornalista free lance, ci consentono di conoscere molta gente, in giro per la regione, ma non avevamo mai sentito parlare di voi.

Carlo, che avrei scommesso stesse soffrendo per la voglia di fumare, cercò di mostrarsi gentile e comprensivo, come sempre faceva in quelle circostanze.

– Puoi facilmente immaginare come una certa segretezza sia d’obbligo nella nostra attività. Serve anche per garantire in pieno il programma di protezione che talvolta siamo costretti a offrire agli addotti che ci richiedono, disperati, tutto l’appoggio che possiamo offrire.

Seguirono una serie di cortesi convenevoli di scarsa importanza per il contenuto principale di questo libro. Ricavai comunque l’impressione che i nostri ospiti fossero persone vicine alla mezza età, molto giovanili e gradevoli, con un’ottima cultura di base e una grande propensione al rapporto umano, aperti e gioviali.

L’esperienza che li aveva segnati profondamente fu la parte interessante, per i miei lettori, che intendo riassumere partendo da quanto ricordo di quella sera.

Per i motivi che apprenderete tra qualche pagina, non ho potuto, neanche una volta uscito dalla villetta, prendere appunti. E mentre ero lì con loro, e Carlo cercava di essere estremamente comprensivo nell’interrogarli, mi sembrava di cattivo gusto trascrivere quel che stavano, faticosamente e con una punta d’imbarazzo, rievocando.

L’intera vicenda li angustiava non poco anche perché la loro mente razionale ancora non accettava in pieno gli avvenimenti che aveva spinto la coppia a rivolgersi al Gruppo Alfa.

Mino, grattandosi frettolosamente la testa, mentre guardava il pavimento come se dovesse trovarvi l’ispirazione, cominciò a descrivere la loro avventura con gli alieni:

– E’ cominciato tutto tre mesi fa. Una sera, facendo già fresco, ho pensato di chiudere tutte le imposte, ovviamente compresa la porta d’ingresso. Qui non accade mai nulla, ma abbiamo spesso la sensazione di essere isolati, nel grande silenzio che la notte concede a questa frazione. Scegliemmo questa abitazione proprio perché l’intera zona, pur essendo abitata, conferiva a questa casa, una sensazione di riservatezza e di tranquillità che in città è impossibile trovare. Non abbiamo figli, pertanto, non possiamo dire di disprezzare un po’ di calma, una volta rientrati dal lavoro.

Carlo chiese:

– Lavorate molto lontani tra voi?

– Certamente- intervenne Lidia – Io viaggio talvolta per l’intera regione. I miei articoli valgono cinquanta euro l’uno, spese a parte. Devo girare, documentarmi e scrivere, se voglio raggranellare uno stipendio decente.

Mino sorrise – Prima che mia moglie cominci a fare la vittima del sistema, preferisco chiarire che lavora perché vuole farlo ma senza una reale necessità. Io guadagno abbastanza per entrambi. Anch’io giro molto per ovvi motivi. Quel che voglio raccontarvi, accadde qui, inizialmente. Era sabato quando ci capitò, per la prima volta, di prendere contatto con una realtà che non immaginavamo nemmeno di poter vivere.

– Sì – aggiunse Lidia – Eravamo tornati da casa di amici, a Viterbo, ci eravamo divertiti parecchio e forse avevamo esagerato un po’ con l’alcol. Niente di strano, eravamo solo allegri.

Mino riprese a parlare ma nella mia mente cominciai a sentire la canzone degli XTC, Making Plans for Nigel. La musica, che ho ascoltato spesso in gioventù, prese a martellarmi le tempie, quasi che qualcuno o qualcosa avesse attivato un lettore mp3 nella mia testa.

Era un pensiero praticamente indipendente da me, come se provenisse da una fonte telepatica.

– Andammo quindi a dormire. Ricordo l’ora perché, scherzando, mia moglie disse che era la vera ora dei fantasmi: le due del mattino. Presi sonno immediatamente e quando mi risvegliai, la mattina, sentii Lidia che singhiozzava, dalla stanza da bagno vicino alla nostra camera da letto. Mi avvicinai, vedendola seduta sullo sgabello, ancora in pigiama, e con la testa tra le mani.

Carlo chiese a Lidia cosa poteva ricordare in quel preciso istante in cui Mino l’aveva vista e perché stava piangendo nel bagno.

– Ora mi sembra tutto più chiaro. In quel momento, però, non ricordavo nulla. Mi ero accorta di aver perso il senso del tempo. Ero, in qualche modo certa, dal momento in cui mi ero addormentata, e fin quando avevo preso coscienza di essere seduta su quello sgabello, che la mia mente fosse scivolata in un altro luogo, non fosse stata lì con me. Una sorta di dissociazione psico-cognitiva, della quale ero perfettamente consapevole. Cercavo, come credo sia naturale, di trovare una spiegazione che non riuscivo neppure a immaginare.

– Era davvero sconvolta – proseguì Mino, quasi per giustificare la moglie. Sul suo volto erano ora visibili rughe d’espressione abbastanza marcate, come se ricordare quei momenti gli risultasse troppo difficoltoso o sgradevole.

Carlo lo interruppe per permettere a Lidia di riprendere il racconto di quel fatto:

– Lidia, cosa ricordi, adesso, del sonno di quella notte? Ti chiedo di descrivermi qualche immagine che magari nei momenti successivi a quel mattino può essere riemersa nella tua memoria. E’ di fondamentale importanza quel che la tua mente cosciente ha conservato di un’eventuale abduction.

La donna si stava concentrando nella ricerca di scene oniriche che ancora la disturbavano. Sul suo viso potevo scorgere lo sconcerto a causa di quanto stava rievocando.

– Io non ricordo altro che alcune scene di un sogno molto strano. Ero stesa su una specie di tavolo operatorio ma non vedevo nessuno degli strumenti tipici di una sala operatoria d’ospedale. Facevo fatica a muovere gli occhi e potevo, inizialmente, soltanto usufruire di una visione verticale, dalla mia posizione fino al soffitto quasi argenteo di quella sala illuminata da una luce diffusa, che non capivo da dove venisse. Poi, alcune voci, quasi in coro, dal suono vagamente metallico, mi spiegarono che potevo, in realtà e facilmente, spostare il viso lateralmente e osservare la scena intorno a me. E allora vidi esseri incappucciati che sembravano alti almeno tre metri e, più lontano, come sullo sfondo di una scena sfocata, alcuni militari in divisa che ci osservavano.

Carlo ebbe un sussulto e le chiese di specificare meglio quel che ricordava di quella scena.

La donna socchiuse gli occhi nel rispondergli:

– Forse potrei parlare di un insieme di scene che si affollano nella mia memoria. Come se quanto ricordo fosse diviso in un insieme di tessere che compongono un puzzle disordinato. La mia mente non risponde più ai miei desideri, io non la trovo più… – e iniziò subito dopo a singhiozzare.

Si prese la testa tra le mani, come per trattenere ricordi che stavano per sfuggirle.

Mino la guardava con preoccupazione, poi intervenne:

– Abbiamo più volte riflettuto insieme sulla possibilità di ricorrere all’ipnosi regressiva. Devo dire che la cosa mi preoccupa anche perché non vorrei che certi ricordi, venendo a galla con una chiarezza migliore, possano in qualche modo portare mia moglie a subire gli effetti di una depressione che è stata fatale a molti addotti. Ho letto storie terribili anche di persone arrivate a suicidarsi.

Carlo mi guardò come per chiedere la mia impressione su quanto avevo ascoltato e io per tutta la risposta, gli indirizzai un’espressione interrogativa al massimo livello. Avevo l’esigenza di parlargli. Egli chiese ai nostri ospiti la possibilità di uscire in balcone per fumare una sigaretta e quindi fare un piccolo break. L’atmosfera era in effetti quasi irrespirabile. Sentivo una tensione palpabile, pulsante, viva quanto lo eravamo noi quattro.

Mino andò a sbloccare la serratura del balcone del soggiorno che si aprì con uno scatto metallico. Quei due si erano barricati in casa.**********

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