LA TERRA INVASA DAI RETTILI: una versione degli addotti

Il mio romanzo LA TERRA INVASA DAI RETTILI, attualmente disponibile su Amazon.it al prezzo di 0,99 centesimi,  parla delle rivelazioni degli addotti, ovvero persone rapite da esseri extraterrestri, che raccontano come la Terra sia in pericolo per colpa dei Rettiliani, esseri provenienti da altre regioni del Cosmo che da sempre hanno visitato il nostro pianeta, e ibridato gli ominidi che trovarono durante la loro prima venuta, un milione di anni fa.

Questo estratto fa parte del libro e racconta un incontro con due addotti, coniugi, che rappresentano il prototipo dell’addotto-tipo: persone che mostrano sconcerto e sconforto a causa dell’avventura subita, oltre il terrore di essere rapiti nuovamente:

Arrivammo nei pressi della piccola frazione in provincia di Viterbo solo due ore dopo. Il tempo si era fatto minaccioso e la pioggia aveva invaso parte della carreggiata creando rivoli di fango liquido che ostacolava non poco la circolazione.

Carlo si era chiuso in un ostinato mutismo. Sembrava rimuginare la storia del mio incontro. Certamente, a differenza di quanto potevo fare io stesso, riusciva a inquadrare il dialogo con l’aliena in una fattispecie di rapporto ufologico ben definita.

In quel momento ancora non immaginavo la reale portata delle azioni del Gruppo Alfa e tantomeno la consistenza delle loro dotazioni strategiche. Certo, capivo la necessità del loro riserbo e potevo finanche ricondurre in un contesto logico i racconti che mi avevano fatto. Che poi a me sembrassero persino incredibili, in molti passaggi, non faceva testo.

La somma delle loro conoscenze era per me ancora un mistero e comunque il mio amico non aveva fatto granché per chiarirmi meglio la portata delle loro operazioni.

Carlo fermò l’autovettura davanti a una villetta, a pochi metri dal centro dell’abitato principale. Il silenzio era calato su quella zona, mentre la pioggia, che ancora scendeva copiosa, non essendo accompagnata da fenomeni elettrici, poteva distendere il suo manto silenzioso sui campi e sui prati con assoluta tranquillità, quasi con mestizia.

Non udivo alcun suono provenire dai pochi edifici che potevo vedere e tantomeno dalla residenza dei nostri contatti. Il cielo perfettamente livido riversava le sue lacrime su di noi e questo era tutto, in quella serata così umida e fredda.

Carlo, che indossava un pesante impermeabile scuro, suonò il campanello in tre sequenze ben distinte. Evidentemente, un segnale convenzionale. Il suono elettrico di sblocco della serratura di un portone metallico mi fece comprendere che gli inquilini avevano predisposto un impianto di allarme.

Ci venne incontro un signore di mezza età, nell’ingresso illuminato da una lampada ecologica. Un uomo ben piantato, che indossava un gilet su pantaloni di velluto, dal portamento dinamico. Dietro di lui, davanti alla porta di un saloncino, potevo vedere la moglie, apparentemente molto più giovane. Era una donna bionda, alta e slanciata, con l’espressione più fiera che spaventata. Portava i capelli raccolti in una treccia dietro la schiena e il contrasto con la delicata felpa color rubino era notevole. Ci strinsero la mano e ci invitarono ad accomodarci nel soggiorno.

La stanza, abbastanza comoda, era arredata in maniera non convenzionale: mobili interamente di caucciù e di vimini, con un tavolo e una credenza intarsiata in legno di ciliegio, quest’ultima davvero deliziosa nella sua semplicità. Il grande lampadario centrale era anch’esso di legno cesellato con i disegni di curiose figure silvestri e l’illuminazione era completata da due lampade a stelo poste nei quattro angoli della stanza, dietro altrettante poltroncine di vimini.

Quella abitazione dava l’idea di una grande armonia e di una certa pace interiore.

Mino e Lidia si presentarono, e Mino aggiunse, rivolgendosi al mio amico:

– Abbiamo contattato la persona che conosci e che ci ha parlato del gruppo e della vostra attività. Il mio lavoro di rappresentante di articoli elettronici e quello di Lidia, giornalista free lance, ci consentono di conoscere molta gente, in giro per la regione, ma non avevamo mai sentito parlare di voi.

Carlo, che avrei scommesso stesse soffrendo per la voglia di fumare, cercò di mostrarsi gentile e comprensivo, come sempre faceva in quelle circostanze.

– Puoi facilmente immaginare come una certa segretezza sia d’obbligo nella nostra attività. Serve anche per garantire in pieno il programma di protezione che talvolta siamo costretti a offrire agli addotti che ci richiedono, disperati, tutto l’appoggio che possiamo offrire.

Seguirono una serie di cortesi convenevoli di scarsa importanza per il contenuto principale di questo libro. Ricavai comunque l’impressione che i nostri ospiti fossero persone vicine alla mezza età, molto giovanili e gradevoli, con un’ottima cultura di base e una grande propensione al rapporto umano, aperti e gioviali.

L’esperienza che li aveva segnati profondamente fu la parte interessante, per i miei lettori, che intendo riassumere partendo da quanto ricordo di quella sera.

Per i motivi che apprenderete tra qualche pagina, non ho potuto, neanche una volta uscito dalla villetta, prendere appunti. E mentre ero lì con loro, e Carlo cercava di essere estremamente comprensivo nell’interrogarli, mi sembrava di cattivo gusto trascrivere quel che stavano, faticosamente e con una punta d’imbarazzo, rievocando.

L’intera vicenda li angustiava non poco anche perché la loro mente razionale ancora non accettava in pieno gli avvenimenti che aveva spinto la coppia a rivolgersi al Gruppo Alfa.

Mino, grattandosi frettolosamente la testa, mentre guardava il pavimento come se dovesse trovarvi l’ispirazione, cominciò a descrivere la loro avventura con gli alieni:

– E’ cominciato tutto tre mesi fa. Una sera, facendo già fresco, ho pensato di chiudere tutte le imposte, ovviamente compresa la porta d’ingresso. Qui non accade mai nulla, ma abbiamo spesso la sensazione di essere isolati, nel grande silenzio che la notte concede a questa frazione. Scegliemmo questa abitazione proprio perché l’intera zona, pur essendo abitata, conferiva a questa casa, una sensazione di riservatezza e di tranquillità che in città è impossibile trovare. Non abbiamo figli, pertanto, non possiamo dire di disprezzare un po’ di calma, una volta rientrati dal lavoro.

Carlo chiese:

– Lavorate molto lontani tra voi?

– Certamente- intervenne Lidia – Io viaggio talvolta per l’intera regione. I miei articoli valgono cinquanta euro l’uno, spese a parte. Devo girare, documentarmi e scrivere, se voglio raggranellare uno stipendio decente.

Mino sorrise – Prima che mia moglie cominci a fare la vittima del sistema, preferisco chiarire che lavora perché vuole farlo ma senza una reale necessità. Io guadagno abbastanza per entrambi. Anch’io giro molto per ovvi motivi. Quel che voglio raccontarvi, accadde qui, inizialmente. Era sabato quando ci capitò, per la prima volta, di prendere contatto con una realtà che non immaginavamo nemmeno di poter vivere.

– Sì – aggiunse Lidia – Eravamo tornati da casa di amici, a Viterbo, ci eravamo divertiti parecchio e forse avevamo esagerato un po’ con l’alcol. Niente di strano, eravamo solo allegri.

Mino riprese a parlare ma nella mia mente cominciai a sentire la canzone degli XTC, Making Plans for Nigel. La musica, che ho ascoltato spesso in gioventù, prese a martellarmi le tempie, quasi che qualcuno o qualcosa avesse attivato un lettore mp3 nella mia testa.

Era un pensiero praticamente indipendente da me, come se provenisse da una fonte telepatica.

– Andammo quindi a dormire. Ricordo l’ora perché, scherzando, mia moglie disse che era la vera ora dei fantasmi: le due del mattino. Presi sonno immediatamente e quando mi risvegliai, la mattina, sentii Lidia che singhiozzava, dalla stanza da bagno vicino alla nostra camera da letto. Mi avvicinai, vedendola seduta sullo sgabello, ancora in pigiama, e con la testa tra le mani.

Carlo chiese a Lidia cosa poteva ricordare in quel preciso istante in cui Mino l’aveva vista e perché stava piangendo nel bagno.

– Ora mi sembra tutto più chiaro. In quel momento, però, non ricordavo nulla. Mi ero accorta di aver perso il senso del tempo. Ero, in qualche modo certa, dal momento in cui mi ero addormentata, e fin quando avevo preso coscienza di essere seduta su quello sgabello, che la mia mente fosse scivolata in un altro luogo, non fosse stata lì con me. Una sorta di dissociazione psico-cognitiva, della quale ero perfettamente consapevole. Cercavo, come credo sia naturale, di trovare una spiegazione che non riuscivo neppure a immaginare.

– Era davvero sconvolta – proseguì Mino, quasi per giustificare la moglie. Sul suo volto erano ora visibili rughe d’espressione abbastanza marcate, come se ricordare quei momenti gli risultasse troppo difficoltoso o sgradevole.

Carlo lo interruppe per permettere a Lidia di riprendere il racconto di quel fatto:

– Lidia, cosa ricordi, adesso, del sonno di quella notte? Ti chiedo di descrivermi qualche immagine che magari nei momenti successivi a quel mattino può essere riemersa nella tua memoria. E’ di fondamentale importanza quel che la tua mente cosciente ha conservato di un’eventuale abduction.

La donna si stava concentrando nella ricerca di scene oniriche che ancora la disturbavano. Sul suo viso potevo scorgere lo sconcerto a causa di quanto stava rievocando.

– Io non ricordo altro che alcune scene di un sogno molto strano. Ero stesa su una specie di tavolo operatorio ma non vedevo nessuno degli strumenti tipici di una sala operatoria d’ospedale. Facevo fatica a muovere gli occhi e potevo, inizialmente, soltanto usufruire di una visione verticale, dalla mia posizione fino al soffitto quasi argenteo di quella sala illuminata da una luce diffusa, che non capivo da dove venisse. Poi, alcune voci, quasi in coro, dal suono vagamente metallico, mi spiegarono che potevo, in realtà e facilmente, spostare il viso lateralmente e osservare la scena intorno a me. E allora vidi esseri incappucciati che sembravano alti almeno tre metri e, più lontano, come sullo sfondo di una scena sfocata, alcuni militari in divisa che ci osservavano.

Carlo ebbe un sussulto e le chiese di specificare meglio quel che ricordava di quella scena.

La donna socchiuse gli occhi nel rispondergli:

– Forse potrei parlare di un insieme di scene che si affollano nella mia memoria. Come se quanto ricordo fosse diviso in un insieme di tessere che compongono un puzzle disordinato. La mia mente non risponde più ai miei desideri, io non la trovo più… – e iniziò subito dopo a singhiozzare.

Si prese la testa tra le mani, come per trattenere ricordi che stavano per sfuggirle.

Mino la guardava con preoccupazione, poi intervenne:

– Abbiamo più volte riflettuto insieme sulla possibilità di ricorrere all’ipnosi regressiva. Devo dire che la cosa mi preoccupa anche perché non vorrei che certi ricordi, venendo a galla con una chiarezza migliore, possano in qualche modo portare mia moglie a subire gli effetti di una depressione che è stata fatale a molti addotti. Ho letto storie terribili anche di persone arrivate a suicidarsi.

Carlo mi guardò come per chiedere la mia impressione su quanto avevo ascoltato e io per tutta la risposta, gli indirizzai un’espressione interrogativa al massimo livello. Avevo l’esigenza di parlargli. Egli chiese ai nostri ospiti la possibilità di uscire in balcone per fumare una sigaretta e quindi fare un piccolo break. L’atmosfera era in effetti quasi irrespirabile. Sentivo una tensione palpabile, pulsante, viva quanto lo eravamo noi quattro.

Mino andò a sbloccare la serratura del balcone del soggiorno che si aprì con uno scatto metallico. Quei due si erano barricati in casa.**********

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LA TERRA INVASA DAI RETTILI: una versione degli addottiultima modifica: 2021-01-21T11:28:15+01:00da marcar2007
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