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La Luna

Vi offro un altro racconto horror… o quasi. Del resto, si parla d’amore. Giudicate voi se talvolta anche i sentimenti possono definirsi tali pur in contesti non proprio rassicuranti. Avevo anche l’intenzione di fare di questo breve racconto una sorta di introduzione per una serie di storie ambientate in un crepuscolare mondo vampiresco… più orientate a esplorare la dimensione oscura del terrore psicologico piuttosto che le implicazioni horror classiche. Se mi incoraggiate con i vostri commenti forse partiamo con questa serie…

La Luna 

Per una piccola truffa, fui condannato a 5 anni di reclusione. Uscito di galera, me ne tornai al paese dei miei genitori, scomparsi da tempo, ai piedi delle Alpi Apuane. Rocce, terra dura, vacche e sassi, tanti sassi. La casa ora l’avevo: fredda, tetra, isolata, piena di mobili vecchi e puzzolenti di generazioni vissute a pane e campagna, un chilometro dopo la frazione più lontana da P., cittadina montana immersa tra i boschi. Dovevo sopravvivere razionando i pochi risparmi accumulati durante 15 anni di lavoro come contabile, e l’importo di buoni postali sottoscritti da mio padre in vent’anni di pensione. Ricordo che diceva: “ La casa non vi servirà certamente, la venderete… ma i soldi non vi basteranno mai, figli miei!” Previsione esatta solo a metà.

Piuttosto, avrei il dovere di dividerli con mio fratello, se solo sapessi dov’è andato a cacciarsi; non lo vedo da una vita, anche se ho saputo che qualche anno fa, era in Oman, al lavoro per una ditta edile. Mia sorella, invece, tre anni or sono è stata fagocitata dalla nebbia di Milano con il marito ed il figlioletto… Dopo l’incidente, faticai a riconoscerla, poi, mentre piangevo, un carabiniere mi rimise le manette per riportarmi in carcere.

 Le mie giornate scorrevano lente e sempre uguali, e la notte solo la luna assisteva alla mia insonnia, divisa tra i vecchi libri e la televisione perennemente disturbata dalle montagne vicine. Di donne, nella mia situazione, neanche a parlarne. Spesso andavo a passeggiare lungo i sentieri inondati dalla luna, almeno quando il clima lo permetteva… talvolta l’esasperazione mi portava ad accendere tutte le luci del pianterreno, dove vivevo. La piccola cucina, due bagni, la biblioteca ed il lettino ricavato nel tinello. Le camere da letto del piano superiore conservavano troppi ricordi.

All’alba riuscivo a prendere sonno fino alle undici, poi uscivo a comprarmi da mangiare, scambiavo quattro chiacchiere con il giovane parroco dell’unica chiesa del paese che, invariabilmente, si rivelava fonte di notizie e commenti sulla vita del piccolo centro. Arrivai a pensare di poter invecchiare in quel modo, finché quella routine venne spezzata per sempre quando un’altra famiglia venne a stabilirsi in un casale ristrutturato, a meno di due chilometri da casa mia. Non esisteva sito più appartato nelle vicinanze di P. e gli alti abeti intorno impedivano persino di scorgere l’edificio, ribattezzato pomposamente dall’ultimo proprietario Villa del buon ritiro

 La domenica successiva, a Messa, all’ultima funzione serale notai i nuovi arrivati, che identificai facilmente in base alla descrizione, fattami dal solito parroco, della giovane figliola della coppia alquanto dimessa: una ragazza pallida, dai lineamenti talmente delicati da farla apparire sofferente. I lunghi capelli neri avevano il colore della notte, ricadendo, disordinati, sul collo di pelliccia del vecchio cappotto. Il padre e la madre, alti di statura, curvi, immersi nelle loro preghiere, dimostravano tutti gli anni di chi nella vita ha combattuto battaglie sempre più dure e quasi sempre perse. Erano seduti vicino la ragazza che, in mezzo a loro, sembrava voler scomparire sotto il peso di chissà quale pentimento…

La fissai a lungo, incuriosito più che sorpreso, ma poi dimenticai ben presto quell’incontro finché, dopo qualche giorno, capitai, di mattina, nella farmacia del paese. Il vecchio Saint Paul, occhi sempre bassi, stava acquistando alcuni medicinali… Elegante d’aspetto ma indossava abiti passati di moda, stonava incredibilmente in quel locale pieno di luce, con una radio che urlava rock duro e due adolescenti che chiedevano profilattici.

– Sta curando un anemico… – mi sussurrò Roberto il farmacista, mentre il vecchio usciva dal negozio – M’ha chiesto dove trovare plasma per trasfusioni. Forse, un leucemico. Lo sai, siete vicini di casa…

Qualcosa mi costrinse a seguire il signor Saint Paul e, prima che s’infilasse nella vecchia Mercedes nera, lo salutai:

– Ci conosciamo? – rispose, sorpreso.

– Sarebbe il caso… siamo vicini: abito nella villetta dall’altra parte della provinciale, oltre il bosco di abeti.

– Ah… –

Gli dissi il mio nome e lui strinse con poco entusiasmo la mano che gli porgevo – Avete scelto una dimora un po’ isolata; in paese c’è di meglio!

– Amo la solitudine – disse, bruscamente – Ora, perdonatemi, ma devo andare.

Non trovai modo di prolungare quella conversazione e lui accese il motore della vettura per allontanarsi lentamente in direzione della provinciale.

Quella sera, come al solito, non riuscivo a dormire e, attenuatosi il freddo dei giorni precedenti, mi decisi a fare una camminata sotto la luna. Il chiarore agevolava talmente il cammino che, quasi senza pensarci, percorsi chilometri, aspirando con voluttà l’aria sempre più fresca proveniente dalle montagne, finendo per attraversare la provinciale, deserta a quell’ora, fino a ritrovarmi a fissare Villa Saint Paul. Erano le due del mattino, ormai, ed avrei intrapreso la via del ritorno se un’ombra scura non avesse coperto, per un attimo, la luna…

Il gelo più intenso che ricordavo ed un’oscurità totale mi avvolsero completamente. Il mio sangue si fermò nelle vene e strinsi forte i pugni mentre, per istinto, alzai la pesante torcia elettrica sopra la testa… e si accese.

 Ancora oggi sono convinto che quel gesto istintivo mi salvò la vita… Il fascio di luce, improvviso, violento come una lama di fuoco, tagliò il buio e colpì le pupille di uno strano animale volante, forse un grosso pipistrello, che lanciato un urlo stridulo, si dileguò nelle tenebre, altissimo.

Stordito, mi rialzai e tornai verso casa, piuttosto in fretta, madido di sudore, pieno di paura… Non sapevo che la mia avventura era appena all’inizio.

Cadendo un paio di volte lungo il sentiero di campagna, mi strappai i pantaloni all’altezza delle ginocchia ed il sangue aveva intriso la stoffa pesante… me ne accorsi solo arrivato davanti alla mia casa. Entrai nel tepore della vecchia abitazione, ansimando per la lunga corsa. Senza accendere la luce mentre mi spogliavo, con la luna che inondava la camera da letto, brillando nello specchio ovale… e sulla pelle candida di una presenza estranea, proprio accanto al vecchio comò… Non ebbi il tempo di provare curiosità, paura, orrore… Ero nudo, ferito e qualcuno mi fissava nella penombra, in quel silenzio spaventoso! Una voce di donna, lontana, flebile come un sussurro nel vento, arrivò alle mie orecchie:

– Non avere paura…

Non vidi muoversi la sconosciuta ma le sue mani gelide mi spinsero sul letto… poi sentii i suoi lunghi capelli ricadere sul mio viso, e la donna cominciò a passarmi la lingua sul collo, sul petto, sempre più giù fino… alle ginocchia ferite. La sua saliva si mischiò al mio sangue, senza dolore e con uno strano tepore che ci univa. Mi addormentai.

 Fu il sole della tarda mattinata a farmi aprire gli occhi; mi sentivo stranamente bene, rilassato, e solo dopo un po’ mi venne in mente quanto accaduto di notte. Istintivamente, cercai la mia sconosciuta ospite… senza trovarla. Sconosciuta dfino ad un certo punto, poi… sapevo benissimo chi era! Più tardi, in paese, affrontai il signor Saint Paul che si aggirava nel mercato.

Lo salutai e lui rispose di malavoglia, ma continuai:

– Che malattia ha, esattamente, sua figlia? E’ emofiliaca?

– Che le interessa? – bofonchiò, scuro in volto.

– Tanto per parlare… forse il clima di qui non è l’ideale per la ragazza.

– Bene, ha detto la sua… Ora, se vuole scusarmi…

– Eh, no! – mi parai davanti al vecchio – Per caso, soffre pure di sonnambulismo?

L’uomo non mi guardava in faccia.

– Stanotte l’ho incontrata.

– Mia figlia è una brava ragazza ma dorme poco.

– Stanotte è venuta nella mia camera da letto!

Saint Paul stavolta mi fissò allarmato – Cosa?

– Già, proprio così. Come lo spiega?

– Andiamo via da qui! – tagliò corto – Venga da me e parliamone.

 Con un bicchiere di rosolio in mano, nel salotto del villino Saint Paul, avevo finito da poco di rispondere ad una serie interminabile di domande sul mio conto e sulle mie abitudini, quando, finalmente, ne feci una io:

– Come si chiama sua figlia?

– Lisette.

– Dov’è ora?

– Dorme. Ed anche mia moglie. Ovviamente.

– Capisco. Posso aspettare che Lisette si svegli?

– No! Specie se ha assaggiato il suo sangue! – urlò il vecchio, alzandosi di scatto dalla poltrona di velluto verde. Si avvicinò al camino, acceso, grattandosi nervosamente il mento.

– Si sente sola, sua figlia, vero? – chiesi, con tono conciliante.

– Stanotte non è certo venuta da lei per questo! Sta solo cercando una vittima da prosciugare, come fece sua madre con me. Mi ripresi appena in tempo… Questa è l’unica forma d’amore che possono provare!

– Certe donne la pensano allo stesso modo. – ridacchiai, tanto per rompere la tensione.

– Lei non comprende. Ho vissuto con loro per tanti anni, amandole e proteggendole dal mondo dei normali e non consiglierei la stessa esperienza ad altri. Nascondersi sempre, cambiare città, riservati, silenziosi, misteriosi e senza amicizie… Che vita è? Ora torni a casa: la notte è vicina!

Mi spinse via da casa sua, dimostrando la massima preoccupazione. Che non condividevo affatto: ero stregato dal desiderio di rivedere la ragazza e, tornato a casa, aspettai con impazienza che scendesse la notte. Presi sonno senza accorgermene e mi destarono alcuni colpetti contro la finestra… Mi avvicinai al vetro e quel che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene. Un enorme pipistrello nero stava cercando di attirare la mia attenzione picchiando il muso da ratto contro il vetro… Qualcosa in me costrinse le mie mani ad aprire le imposte per far entrare quella mostruosità che, alla luce della luna scese sul pavimento in forma di donna. La mia donna. I lunghi capelli nerissimi le sfioravano appena il seno pieno, florido, bianchissimo e la sinuosità della sua figura mi ipnotizzò completamente… Mi svegliò il suo fiato, ansimante, freddo come una lama di ghiaccio.

– Chi sei… tu?

– Quella che aspettavi. –  sussurrò lentamente, dolcemente.

– Vuoi il mio sangue, Lisette?

– Non temere, non ti ucciderò. Ma ho bisogno di te… Solo qualche goccia del tuo sangue mi garantirà la vita, ed io so come ricompensarti.

 Da allora, ci vediamo ogni notte e sta andando come disse lei. Lei che è il mio amore, la mia vita… ed io la sua. La vedo rifiorire dopo ogni prelievo che fa lei stessa, usando una siringa sterilizzata. Io brindo con lei, bevendo del vino, in due calici di cristallo purissimo. Poi ci amiamo fino al primo chiarore dell’alba quando Lisette, prima che la luna svanisca, vola via nell’aria fresca che scende dalle montagne, dopo avermi giurato eterno amore, il vero amore!